OPINIONI.
Vacanze scolastiche
la flessibilità diventa un inferno.
di Elena Loewenthal da
La Stampa del
18 marzo 2005
C'era una volta il calendario scolastico, che
scandiva il tempo sui banchi: misura delle opere e dei giorni per
milioni di studenti, su e giù per il nostro stivale. Poi la
devoluzione è arrivata anche per la campanella, e il calendario
scolastico è diventato flessibile. Variabile. Molto flessibile e molto
variabile: altro che modica delega di poteri alle regioni. Il
calendario scolastico è ormai affare che va tutto per conto suo. E
così, capita che che chi ha avuto l’inconscienza di mettere al mondo
più di un figlio, si trovi a a dover fare i conti con il calendario
scolastico. Anzi, con un numero di calendari scolastici pari almeno al
numero di figli che prima ha messo al mondo e poi ha avuto anche
l’imprudenza di spedire a scuola.
Perché ormai ogni scuola ha il suo, di calendario. Prendiamo ad
esempio le vacanze pasquali: per alcuni cominciano già questo fine
settimana, altri dovranno aspettare la metà della prossima. Chi
comincia prima, però, non è detto che finisca prima: perché non solo
il modo, anche il quanto, delle vacanze, è ormai una variabile. Una
specie di imprevedibile terno al lotto: cinque, sette, dieci, dodici
giorni? Chi vivrà vedrà l’avviso sul diario. E tutta questa
flessibilità, si badi bene, non si consuma in regioni diverse,
province diverse, almeno in comuni diversi. Circoscrizioni diverse. La
flessibilità del calendario scolastico è ormai pandemica: basta
cambiare scuola e angolo di strada per trovarne un altro. Senza un
ordine preciso, un qualsivoglia criterio di grado: elementari, medie
inferiori, licei. A ciascuno il suo.
E così, a tavola la sera, durante la pausa pubblicitaria in
televisione, sorge spontanea una domanda nuova, che fino a non molto
tempo fa era affatto superflua: «Tu quando hai vacanza?». Perché se
una volta la vacanza scolastica era un dato incontrovertibile,
assodato, oggi è una variabile. Il che si può prendere serenamente sul
ridere, sempre che si abbia un figlio soltanto in età scolare (e che
non si faccia di mestiere l’insegnante, cosa che rende vano il fatto
di avere un figlio solo, perché è come se fossero due). Ma se i figli,
come spesso ancora capita, sono più d’uno, l’organizzazione domestica
e l’eventuale trasferta di vacanza - oppure la gestione dei figli
senza scuola e senza poter approfittare di un compatibile periodo di
ferie - diventa una sfiancante gimkana. Una specie di incastro
faticoso, in cui nel migliore dei casi si finisce per partire con il
fiato corto, nel peggiore si manda il calendario a quel paese e si
sacrifica per ciascuno dei figli un congruo numero di giorni di
vacanze e/o scuola.
Poi, caricati i bagagli in macchina e/o firmata la pietosa
giustificazione «per motivi familiari» (uno dei concetti più generici
mai formulati nella storia dell’umanità pensante), sorge spontanea una
domanda: perché? O meglio: chi ha escogitato una tale
evoluzione/devoluzione del nostro sistema scolastico, ci ha pensato un
momento? La flessibilità del calendario scolastico e la sua
incompatibilità con la maggioranza delle famiglie italiane sono
un’equazione di primissimo grado: è insomma una cosa ovvia. Che
dovrebbe saltare in mente, e ancora prima all’occhio. Che logica
soggiace invece alla decostruzione, anzi alla demolizione del
calendario scolastico?
Apparentemente nessuna. Ben venga infatti qualche piccolo scarto di
giorni fra il sud e il nord del nostro paese, dettato dal clima
diverso, dalle diverse condizioni.
Questo c’è sempre stato. Ma l’attuale flessibilità è un autentico
inconveniente. Per il quale francamente non si vede ragione: è una
semplice scomodità. Soprattutto per quelle famiglie in cui i genitori
lavorano entrambi, o in quelle - sempre più numerose - monogenitoriali
causa separazioni, o semplicemente perché sono nate così. In parole
povere, la devoluzione del calendario scolastico sembra quasi una
beffa da parte di uno stato che si dichiara in ansia per la scarsa
natalità e si pretende tanto sensibile alle esigenze delle famiglie, e
soprattutto delle madri che lavorano.Per loro, la morte del calendario
scolastico significa, tanto per cambiare, qualche faticaccia in più.
elena.loewenthal@lastampa.it