La Storia Riveduta e Scorretta.

di Nicola Tranfaglia da l'Unità del 16/3/2005

 

L’offensiva della destra sulla storia del Novecento sta giungendo alle tappe finali e ha scelto la scuola come terreno privilegiato. C’era da immaginarlo giacché il controllo quasi completo che la parte ideologica più qualificata della coalizione di centrodestra (penso agli eredi del fascismo e ai nuovi barbari della Lega) ha sui telegiornali privati e Rai non basta a raggiungere in maniera efficace le nuove generazioni che sentono in lontananza un rumore di fondo ma non prestano, per la maggior parte, attenzione costante ai mezzi di comunicazione di massa (basta guardare le statistiche in questo campo per rendersene conto!) e dunque rischiano di non percepire l’attività costante di alcuni giornali per presentare una versione della nostra storia semplificata che punta a sostituire al fascismo il comunismo come “male assoluto” del Novecento e per tacciare di tendenze totalitarie sia l’antifascismo che la Resistenza e dunque l’attuale Costituzione.

Così si cercano nuovi strumenti e basta seguire con qualche attenzione le bozze dei nuovi programmi ma anche le iniziative pseudoculturali che si succedono in questi mesi per avere un quadro realistico della situazione.

L’ultima bozza uscita dal ministero a proposito dei programmi di storia per il nuovo liceo con otto indirizzi che prenderà il posto degli attuali istituti medi superiori è già molto significativa. Con la riduzione delle ore di scuola secondo la logica morattiana del meno scuola fa bene ai giovani (27 ore) sicché le ore settimanali di storia si riducono a due in tutti gli indirizzi, il programma dell'ultimo anno, il quinto, si segnala per lo scarso spazio dedicato al periodo successivo alla prima guerra mondiale.

Qui sono scomparse le due parole che indicano i fenomeni nuovi del primo dopoguerra: il fascismo con il nazionalsocialismo tedesco e il comunismo, e al loro posto si parla di un fenomeno unico, cioè le «origini del fenomeno totalitario e la diffusione dei regimi autoritari».

All’Italia si toglie la primogenitura, storicamente accertata, del movimento e del regime fascista. Non si parla di Stato liberale in Europa e si arriva a un fenomeno totalitario che non distingue tra le differenti espressioni che si affermano in Europa. Fascismo e nazionalsocialismo appaiono sullo stesso piano come regimi autoritari e, naturalmente, l’accenno alla Shoah arriva all’improvviso come espressione della seconda guerra mondiale.

Insomma il risultato più importante della stesura ultima dei programmi dell’ultimo anno è quello di togliere al fascismo la sua specifica personalità, la sua capacità di espansione europea e le sue caratteristiche che hanno segnato profondamente la nostra storia lasciando una pesante eredità all’Italia repubblicana.

Non c'è che dire: se questa bozza sarà alla base del decreto attuativo della legge Moratti il risultato sarà quello di togliere dalla testa delle nuove generazioni una peculiarità fondamentale della storia europea e non solo italiana annegando tutto in una sorta di fenomeno totalitario che non distingue tra i diversi fenomeni, che rende fascismo e comunismo in tutto eguali e che non spiega ai giovani perché l’Italia è stato il primo Stato liberale a veder crollare le libertà fondamentali di fronte a un partito-milizia che ha conquistato il potere grazie alla complicità delle istituzioni fondamentali della società italiana (dal Vaticano all’esercito agli industriali e agli agrari).

Ma non ci si può fermare a questo punto e soprattutto c'è il rischio che i programmi non arrivino a compimento. E allora l'offensiva si giova di altri strumenti.

Nelle settimane scorse è arrivato in quasi tutti i licei e istituti medi superiori un libro che fa pensare al «Libro di Stato» che il regime fascista diffuse, o meglio impose, alle scuole italiane alla fine degli anni Trenta.

Qui si incomincia in sordina: c'è un ignoto «Centro Italiano di Documentazione Azioni Studi» (Cidas) che invia gratuitamente ai dirigenti scolastici dei licei, invitandoli ad acquistarle a condizioni speciali il maggior numero possibile di copie, un «Breve corso di storia patria ad uso dei politicamente non corretti» a cura dell’economista Sergio Ricossa che, in dieci brevi capitoli, ricostruisce la storia italiana degli ultimi centocinquanta anni.

Il testo è preceduto da una presentazione dello stesso Ricossa che afferma con chiarezza quali sono gli obiettivi della pubblicazione: «La storia patria ci viene solitamente offerta in una visione “ufficiale” e politicamente “corretta” per cui il bene e il male sono nettamente separati e il male supremo è il Fascismo, il bene supremo è la Resistenza».

Si tratta, secondo l’economista, di rovesciare simili pregiudizi e concludere «a favore di una verità che ha sempre molte facce».

Poiché, proprio in queste settimane, la destra a cui si richiama il curatore sta cercando di far approvare un decreto legge, il n. 2244, di cui su questo giornale si è già parlato (ma non su tutti gli altri del Paese) che stabilisce l’equiparazione dei militi dell’esercito di Salò a tutti i militari cobelligeranti nella seconda guerra mondiale, e dunque anche ai partigiani, c’è da pensare che l'obbiettivo sia quello di rovesciare l’assunto centrale: il fascismo non è il male assoluto come la Resistenza non è il bene.
Di un simile rovesciamento di valori il libro del Cidas è un’applicazione eloquente soprattutto in alcuni capitoli.

A Paolo Nello si deve una ricostruzione delle origini e dell’ascesa del fascismo in cui Mussolini campeggia come l'uomo che parlamentarizza il movimento disordinato delle squadre fasciste, non pensa alla dittatura e al regime che sono conseguenza della sua capacità di utilizzare gli errori della sinistra come della classe dirigente liberale.

Ma quel che manca nel capitolo di Nello è l’Italia del primo dopoguerra, la debolezza della tradizione democratica della borghesia che guida il Paese, la crisi economica dei primi anni venti, insomma tutto quello che rende possibile la vittoria della sovversione fascista con la complicità delle classi dirigenti liberali.

Ancora più interessante è il capitolo che Francesco Perfetti dedica all’ascesa e alla caduta del fascismo. Qui l’idealizzazione del regime e, in particolare della Repubblica sociale italiana, raggiunge il culmine e si afferma addirittura che la socializzazione proclamata nel 1944 dal governo repubblicano di Mussolini costituì il maggiore impegno di quel governo: non esiste nella letteratura critica sul 1943-45 nessuna opera (se si esclude la memorialistica neofascista) che parli di un impegno reale della repubblica sociale nell’attuazione di quella parola d’ordine.

Potremmo continuare con gli esempi ma non credo che ne valga la pena. Quello che emerge complessivamente dalla lettura del «Breve corso di storia patria» è che la storia italiana è tutta da riscrivere secondo una vulgata che riabilita l’esperienza fascista, fa dell’opposizione al fascismo come della Resistenza un fatto negativo in quanto dominato dai comunisti, degli italiani un popolo capace di apprezzare la dittatura e non la democrazia.

È questa la nuova storia d’Italia che preparano gli intellettuali della destra se Berlusconi resterà al potere anche nei prossimi anni? C’è da averne paura, soprattutto perché al lavoro di ricerca e di scavo di un sessantennio si oppongono slogan e chiacchiere dominati dalla nostalgia di un’immagine del fascismo che non ha nessun riscontro nella realtà storica, in Italia come altrove.