Una riforma che non serve al paese.

di Matteo Bartocci, da il Manifesto del 26/3/2005

 

«La linea ispiratrice di questa riforma della scuola è che le differenze sociali esistono e non possono essere modificate. E' come se il governo dicesse che tanto vale prenderne atto. Ma se si parte dal presupposto che la scuola non può modificare l'attuale situazione sociale a mio avviso si rinuncia non solo ad intervenire ma anche a progettare un cambiamento in direzione di una maggiore equità e di una maggiore mobilità sociale». Daniele Checchi, economista del lavoro all'università Statale di Milano, è piuttosto critico con la riforma Moratti.

 

Lei, anche sul sito internet de La Voce, ha dimostrato che la perenne «immobilità sociale» italiana non è scalfita dalle riforme attuate dal centrodestra...

Se in Italia c'è una mobilità sociale molto ridotta dipende anche dalla particolare configurazione del sistema scolastico. La scelta scolastica secondaria segna indelebilmente la carriera scolastica successiva e il futuro dei giovani. Ma a sua volta la scelta di scuola secondaria dipende direttamente dall'ambiente familiare, e in particolare dal livello di istruzione dei genitori. I figli di laureati scelgono curricula di tipo accademico come i licei e conseguono a loro volta una laurea. Chi invece proviene da una famiglia a bassa scolarizzazione va male a scuola e viene scoraggiato a proseguire gli studi o li abbandona. Da questo punto di vista l'assetto della scuola secondaria italiana è fondamentale non solo per chi la frequenta ma per la stessa configurazione complessiva della società, in termini di opportunità di accesso e di prospettive future.

 

Cosa bisognerebbe fare a suo giudizio?

Bisognerebbe mandare a scuola i genitori! Se si riuscisse a varare una nuova ondata delle «150 ore» che porti un milione di adulti con figli al diploma superiore sarebbe una riforma molto più efficace di quelle che stanno per essere attuate.

 

Che ne pensa della fine dell'obbligo scolastico stabilito dagli ultimi decreti delegati?

Che bisognerebbe togliere i figli il prima possibile dalle famiglie. La riforma Berlinguer-De Mauro per esempio mandava i bambini a scuola un anno prima. Era un modo per ridurre il divario familiare, aumentando la socializzazione degli alunni.

 

La scelta di dividere istruzione e formazione è vincente?

Secondo me in Italia è meglio ritardare più possibile il momento in cui compiere quella scelta. Oggi siamo a 13 anni, ma se invece spostassimo la canalizzazione in avanti si ritarderebbe l'effetto della famiglia di provenienza, che com'è ovvio si dissipa piano piano durante la vita delle persone.

 

A «chi» serve l'alternanza scuola-lavoro»?

Sicuramente serve alle scuole per ridurre il tasso di dispersione, che è ancora molto alta soprattutto nei primi due anni delle superiori. L'apprendistato fa abbassare le statistiche della dispersione ma è un effetto estetico, perché si incentivano gli studenti a uscire dai canali formali. Inoltre in assenza di prescrizioni specifiche non è difficile immaginare che i meno capaci saranno consigliati ad andare fuori dalla scuola e nelle aziende ci sarà manodopera dequalificata.

 

Confindustria però applaude.

Non sono convinto che alle imprese convenga una manodopera meno formata e meno capace di formarsi successivamente. Diciamo che è una strategia che serve solo ad alcuni settori produttivi e non ad altri.

 

Il governo dice di aver copiato il «modellotedesco». E' vero?

E' vero che in Germania hanno un modello duale molto rigido in cui gli studenti a 13 anni vengono orientati e incanalati senza possibilità di scelta verso un percorso di istruzione o di formazione. Se ti assegnano a un liceo o a un istituto tecnico non puoi farci niente. Però i canali formativi sono attività certificate da consorzi formati da imprese e sindacati comunque esterni ai luoghi di lavoro in cui si fa la formazione. E poi è molto diversa la fine di quel percorso formativo: lì c'è una certificazione che dà diritto a scegliere i posti di lavoro messi a disposizione dalle imprese. Non credo proprio quindi che l'ultima riforma italiana abbia queste caratteristiche di merito e di metodo. Da noi la partita è scaricata solo sulle regioni, che però hanno già rifiutato di occuparsene per mancanza di risorse.