Licei, tecnici e formazione,

il grande tsunami della Moratti .

di Stefania Martani, da EuropaQuotidiano del 26/3/2005

 

«Diritto-dovere all’istruzione per 12 anni e percorsi di alternanza fra scuola e lavoro per gli studenti a partire dai 15 anni». Secondo i due decreti si assicurerebbe a tutti gli studenti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni e, comunque, sino al conseguimento del 18/o anno di età. Questo percorso comprenderebbe il primo ciclo di istruzione (scuola primaria e scuola secondaria di primo grado) e il secondo ciclo che include licei, sistema dell’istruzione e formazione professionale e apprendistato che avranno pari dignità rispetto alla scuole vere e proprie. Dunque, scuola, formazione e apprendistato vengono considerati allo stesso livello. Un sistema di certificazioni e di sanzioni dovrebbe assicurare il rispetto del dettato legislativo.

Al di là delle cifre e dei proclami trionfalistici da ubriacatura preelettorale, occorre analizzare i vari punti e la terminologia con cui sono stati espressi per cogliere l’effettiva portata dei due decreti e l’incidenza che avranno nel mondo della scuola e sui “discenti”. Si passa infatti dall’obbligo, che già la legge 144/’99 del precedente governo fissava a 15 anni, su livelli di licealizzazione per tutti (era la proposta, forse utopica, del riforma Berlinguer) con obbligo formativo fino a 18 anni, al “diritto-dovere” all’istruzione, una definizione fumosa aperta a fraintendimenti e violazioni, anche perché, in materia di sanzioni l’Italia lascia a desiderare, vedi i condoni immobiliari.

Più ore tra i banchi? In ultima analisi molte meno.

Se in effetti nella scuola italiana ancora in parte insoluto era l’aggancio tra scuola e lavoro, la riforma firmata Moratti è un pastrocchio che anziché valorizzare quanto c’era di buono e migliorare là dove c’era carenza, scredita e impoverisce i diversi indirizzi dell’istruzione secondaria.

Il sistema liceale che ci era invidiato anche in Europa, soprattutto il classico e lo scientifico, viene depauperato del suo monte ore e delle materie caratterizzanti, con una inarrestabile banalizzazione dei contenuti, l’introduzione degli insoluti debiti formativi, l’abolizione di fatto della serietà degli esami di maturità con l’eliminazione delle commissioni esterne che costituiscono «un invito al disimpegno grazie all’abolizione dei sistemi di certificazione verso la progressiva abolizione del valore legale del titolo di studio».

Il sistema dei tecnici viene anch’esso svuotato: anziché ancora più professionalizzante, viene licealizzato; depauperato di insegnamenti fondamentali di indirizzo, ne vengono introdotti altri, quali la filosofia, completamente avulsi e irraccordabili con gli obiettivi formativi e didattici.

La formazione professionale: occorre leggerla agganciandola alla riforma delle superiori che prevede una canalizzazione precoce dei ragazzi, a tredici anni, appena usciti dalle medie e l’avviamento al lavoro. Studi di settore hanno dimostrato come la canalizzazione precoce riproduca le differenze dei punti di partenza, là dove solo una scuola che impartisca livelli di istruzione uniformi per un più elevato numero di anni riesca a svolgere la funzione di promozione e mobilità sociale.

Il settore professionalizzante viene agganciato alle aziende e agli enti locali attraverso convenzioni tra le scuole e camere di commercio, enti pubblici e aziende private, imprese e mondo del volontariato. In poche parole con la scuola della devolution la formazione sarà regionalizzata, senza un sistema di “ammortizzatori” che garantisca livelli uniformi di istruzione su scala nazionale.

È tutto il sistema di istruzione nazionale ad essere messo in crisi, con la creazione di istituti di serie a e serie b: quelli che attireranno fondi da parte delle aziende raggiungeranno livelli adeguati, gli altri no; ma da una parte i contenuti culturali e formativi non possono essere condizionati tout-court dalle aziende, d’altra la formazione non deve eccessivamente settorializzarsi, pena il rischio di obsolescenza precoce, là dove una professione venga vanificata dall’innovazione tecnologica o dal mercato globale. La funzione della scuola non può essere solo quella di professionalizzare, ma in senso più vasto quella di promuovere la crescita culturale, civile e sociale dei cittadini. I ragazzi saranno invece avviati sin dai 15 anni agli stage professionali, per cui un corso per parrucchiere sarà pagato in crediti formativi riconosciuti dalla scuola, allo stesso titolo di tre mesi passati sui banchi. Si tratta di formare cittadini o prestatori d’opera? La creazione di un apprendistato di massa si inserisce poi nella più complessa questione del precariato.

Il tirocinante ha spesso la stessa funzione del lavorante ma un contratto diverso e i ragazzi non godrebbero di alcuna copertura sindacale. Inoltre non c’è alcuna precisazione sul monte ore da passare in classe.

Secondo le regioni, nonostante le dichiarazioni della Moratti sull’incremento delle risorse destinate al completamento dei corsi sperimentali di istruzione e formazione – da 34 a 45 milioni – per tale riforma non sussiste alcuna adeguata copertura finanziaria: chi sarà allora l’interlocutore della scuola per assicurare l’adempimento del diritto-dovere all’istruzione? A quanto pare le famiglie, e non lo Stato, secondo quel che è – o era – il dettato costituzionale, con le inevitabili ricadute sulle economie e il riprodursi dei divari di estrazione sociale.