La Francia ordina ai professori «Lodate gli anni delle colonie». Gli storici contro la legge che indica come spiegare il periodo nelle scuole Appello su Le Monde: dovremo impartire menzogne ufficiali sui massacri. di Stefano Montefiori da Il Corriere della Sera del 26/3/2005
Dopo decenni di torti e imbarazzi, la Francia omaggia solennemente con una legge i suoi esuli d’Oltremare. Un riconoscimento al milione e mezzo di francesi che a partire dagli anni Cinquanta hanno dovuto abbandonare l’Indocina e l’Africa durante il sanguinoso processo di decolonizzazione, ultimi gli 8.000 fuggiti dalla Costa d’Avorio nel novembre scorso (sostenuti con un fondo di 5 milioni di euro). La missione civilizzatrice di Parigi nel mondo non trova però l’unanimità degli studiosi. Citando Anatole France, sei storici si ribellano contro il temuto colpo di spugna sugli orrori del colonialismo: «Ai morti si deve rispetto, ai vivi nient’altro che la verità». La legge del 23 febbraio 2005 sulla «riconoscenza della Nazione ai rimpatriati» prevede indennizzi in denaro per i cittadini francesi e per gli autoctoni che hanno lavorato - e combattuto - al loro fianco (un miliardo di euro per i rimpatriati dall’Algeria), ma soprattutto introduce l’obbligo di «riconoscere nei programmi scolastici il ruolo positivo della presenza francese Oltremare, in particolare in Africa del Nord». Riassumere il colonialismo francese nell’espressione «ruolo positivo», da insegnare nelle scuole, è parso troppo: «Ci obbligano a impartire una menzogna ufficiale sui crimini, sui massacri arrivati talvolta fino al genocidio, sullo schiavismo e sul razzismo erede di questo passato - scrivono gli storici in un appello su Le Monde -: questa legge va abrogata». Il giorno dell’approvazione, tra le proteste dell’opposizione di sinistra, non erano mancate frasi altisonanti: «È un momento storico: dopo 40 anni finalmente la Francia esprime la sua riconoscenza per un’opera edificata in tutti i Continenti», aveva proclamato Hamlaoui Mekachera, il ministro del governo Raffarin con delega agli ex combattenti. Mekachera, nato 74 anni fa in Algeria e insignito della Croce al valore militare, è uno dei più celebri «harki» di Francia, gli algerini che durante la guerra di indipendenza scelsero di rimanere fedeli a Parigi per combattere contro il Fronte di liberazione nazionale. Gli accordi di Evian del 1962 segnarono la sconfitta dell’Algeria francese e la tragedia degli harki: abbandonati alla vendetta dei vincitori, furono massacrati a migliaia. Quanti, con esattezza? L’incertezza sulla cifra è rivelatrice di quanto l’argomento sia ancora oggetto di divisioni: 70 mila, secondo Un mensonge français di George-Marc Benamou, altro celebre harki, amico e biografo di Mitterrand (da un suo libro è tratto il film di Guediguian Le Passeggiate al Campo di Marte , appena uscito); appena 10 mila secondo Gilbert Meynier, professore dell’università di Nancy, negli anni Sessanta militante anti-colonialista, insegnante nell’Algeria del Fln, convinto che «gli harki sono stati nient’altro che dei mercenari» (intervista al quotidiano di Algeri El Watan , 10 marzo scorso) e ieri firmatario su Le Monde dell’appello contro la legge. Meynier denuncia il «revisionismo e la nostalgia coloniale che montano presso certi storici, gli ambienti militari, l’estrema destra, i rimpatriati». La legge del febbraio scorso è l’esito di un processo politico cominciato subito dopo la nascita del governo Raffarin. Nominato premier il 6 maggio 2002, Raffarin ha subito creato un Alto consiglio sui rimpatriati (22 maggio), davanti al quale ha reso personalmente omaggio «a tutti coloro che hanno contribuito al di là dei mari allo sviluppo della civiltà francese». Se gli harki ricordano i massacri patiti dopo il 1962, gli anticolonialisti hanno già annunciato una grande manifestazione per il prossimo 8 maggio, 60° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, ma anche della feroce repressione francese di Sètif, Guelma e Kherata (dove furono uccisi tra 5 e 10.000 algerini secondo Parigi, 40.000 secondo Algeri). Di fronte a un passato tanto controverso, la raccomandazione di «accordare alla storia e ai sacrifici dei combattenti originari dell’Oltremare il posto eminente al quale hanno diritto» significa «indirizzare l’insegnamento», scrive Claude Liauzu, un altro firmatario dell’appello. «Nessuno vuole vivere in una società nella quale il legislatore indica al cittadino ciò che bisogna pensare e all’insegnante ciò che bisogna dire - aggiunge Liauzu -. Questa legge non è degna di una democrazia». |