Studio Ocse: l’Italia in coda per numero di ”dottori”

Quanto è raro il laureato.

di Antonio Golini, da Il Messaggero del 27 marzo 2005

 

UN RAPPORTO accurato e puntuale, ma scoraggiante per il nostro Paese. Si tratta di un libro di fatti messi in luce da statistiche, verificate e rese comparabili dall’Ocse, il più importante “centro studi” dei Paesi economicamente avanzati, con sede a Parigi. Se ne ricava un confronto internazionale della situazione demografica, economica, sociale, educativa, ambientale e della qualità della vita.

Vanno innanzitutto elogiati l’Ocse e la sua direzione statistica, diretta da un italiano, che con questo “Factbook” ha deciso di rendere una informazione preziosa perché consente ai cittadini, ai governi e alle opposizioni dei 30 Paesi che aderiscono alla Organizzazione di valutare la posizione del proprio Paese nei confronti di un largo insieme di altri Paesi. E da questo confronto l’Italia ne esce tutt’altro che bene.

Il reddito pro-capite è di certo cresciuto nel nostro Paese, positivamente fra il 1990 e il 2002, passando in termini correnti da 13.400 a 19.700 euro, ma il suo aumento è stato più lento di quello degli altri, così che mentre al 1990 il nostro reddito pro-capite superava quello dell’intero complesso dei Paesi Ocse del 4 per cento, nell’ultimo anno si ritrova sotto dell’1 per cento. Il confronto con quello che è accaduto nel Regno Unito o in Irlanda dimostra quanto più grande sia stata la velocità di crescita di questi due Paesi: nel primo il reddito pro-capite è passato da 12.600 (cioè 800 euro meno dell’Italia) a 21.500 (1.800 in più); nel secondo addirittura da 9.900 a 25.150. E’ proprio per questo boom che l’Irlanda è diventata un caso di studio, avendo saputo sfruttare mirabilmente e al massimo le possibilità che le venivano offerte dall’ingresso nell’Unione europea. Ancora un paio di cifre per illustrare la situazione: fra il 1990 e il 2003 gli investimenti diretti stranieri sono affluiti in Italia per 102 miliardi di dollari, ma in Irlanda per 125, mentre gli investimenti all’estero da parte dei due Paesi sono ammontati rispettivamente a 141 e a 28 miliardi di dollari. L’Italia ha avuto un saldo negativo di 38 miliardi e l’Irlanda uno positivo di 97.

Per tutte queste ragioni politici, manager e sindacalisti vanno giustamente raccomandando l’assoluta necessità che in Italia si potenzino l’innovazione e la qualità nei beni e servizi che produciamo e un aumento dell’istruzione che faciliti l’una e l’altra. Ma di nuovo le statistiche Ocse sono sconfortanti. Per la proporzione di persone che hanno raggiunto un titolo di studio universitario l’Italia si trova al terz’ultimo posto per la popolazione di età 55-64 e, davvero sconsolatamente, al quart’ultimo posto anche per la popolazione giovane di età 25-34 anni. Con questa ridotta qualificazione è difficile innovare e produrre qualità, il che potrà auspicabilmente avvenire con l’aumento dell’istruzione della forza lavoro e con un suo maggiore attaccamento al lavoro. In un recente sondaggio, gli italiani fra i valori hanno messo al primo posto la famiglia, ma al secondo il tempo libero e solo al quinto il lavoro. La riforma scolastica varata ieri, che si propone di aumentare l’istruzione generale e professionale dei giovani e di avvicinarli, attraverso tirocini, al mondo del lavoro sembra quindi andare nella direzione giusta.

Ma forse in attesa di formare meglio le nostre forze di lavoro, di favorire un più produttivo inserimento economico e sociale degli immigrati, di attrarre più investimenti stranieri, una delle poche soluzioni possibili per rimanere su mercati sempre più globalizzati sembra essere quella che nel breve periodo noi si lavori di più, considerato che le cose che facciamo sappiamo farle bene.

Quella che è mancato finora è una reale ed efficace capacità di risposta al paventato declino da parte della classe politica e di quella dirigente da un lato, e da parte delle organizzazioni sindacali e della popolazione dall’altro. Tutti presi come siamo da una contrapposizione politica permanente, strillata e improduttiva, forse non siamo abbastanza consapevoli di pregiudicare il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti, per esempio dei 1.500 bambini nati ieri in Italia, fra cui Valentina, arrivata con gioia nella mia famiglia. Verso tutti loro abbiamo il dovere di lavorare duramente per assicurare nel futuro un benessere che sia almeno quello di cui in media godiamo noi."