Una ricerca dell’università di Roma mette a confronto le opinioni dei docenti sulla buona con-dotta. Meglio copione che ritardatario così cambia l’alunno modello . Il voto in condotta è stato reintrodotto con una circolare nel primo e secondo ciclo, ma ha cambiato nome. A mancare sono regole certe: esistono soltanto indicazioni generiche che ogni insegnante deve applicare . di Carlotta Mismetti Capua, da la Repubblica del 24/3/2005
ROMA - Le maestre dei nostri nonni quando entravano in classe controllavano se le unghie de-gli studenti erano pulite, e per una parolaccia li spedivano dietro la lavagna, in ginocchio sul granturco. Oggi i professori proibiscono ombelichi al vento e cellulari in classe, i tempi sono cambiati e le pedagogie pure; ma gli strumenti sono quelli di una volta, la nota, il richiamo, l’espulsione. Il voto in condotta è stato reintrodotto con una circolare, nel primo e nel secondo ciclo, ma ora si chiama "valutazione del comportamento". E mentre la cronaca incalza - presidi alle prese con telecamere, canne e allagamenti - i professori quanto a "comportamento" sem-brano andare a buon senso. E questo, il buon senso, indaga appunto la ricerca di Anna Salerni, ricercatrice all’Università La Sapienza di Roma, che ha intervistato oltre cento docenti sulla di-sciplina, un tema che pare pedagogicamente datato quanto drammaticamente attuale. Un dato per tutti: al Nord il 25% degli studenti diserta le lezioni, al Sud il 54%. Per dire: la presenza è obbligatoria, ma l’assenza non è sanzionata, e studenti bocciati a causa delle troppe assenze sono stati riammessi in classe dal Tar. Le opinioni personali degli insegnanti sono tanto più interessanti quanto più le norme sono va-ghe. Le procedure difatti oggi sono cambiate: ogni provvedimento, per legge, deve essere condiviso con i rappresentanti dei genitori e degli studenti, le infrazioni disciplinari non influi-scono sul profitto, ed ogni istituto ha un regolamento disciplinare autonomo. Che suona di soli-to così (il libro ne riporta alcuni): comma 1, lo studente deve essere gentile e corretto, comma 2, lo studente deve mantenere un comportamento corretto durante le lezioni, comma 3, lo studente è tenuto al rispetto delle norme di buon’educazione. Più o meno quel che dice il Mae-stro Perboni del libro Cuore il primo giorno di scuola: "Ragazzi, studiate e siate buoni". Ma siate (o state) buoni, oggi, che vuol dire? I docenti al primo posto mettono "non fumare" e "non dire parolacce" (un plebiscito, oltre l’85% dei consensi), segue nella classifica "stare se-duti in modo composto", mentre "non dare del tu agli insegnanti" è questione controversa (metà degli insegnanti la considera maleducazione, l’altra metà no). Controverse anche le so-luzioni: la metà dei professori crede in note e sospensioni, l’altra metà no, idem per il voto sul comportamento. Chiamati ad elencare le virtù della condotta i professori rivelano le loro vere preoccupazioni. Al primo posto indicano "entrare in orario". Poi i mestieri dello scolaro: svolgere i compiti, fare poche assenze, portare i libri in classe. Solo al quinto posto si piazza però "l’attenzione durante le lezioni", quella che il pedagogo più romantico e progressista del secolo scorso, John Dewey, definiva "l'unica attitudine che importa: il desiderio di apprendere". Ed ultimo, "non copiare". Ma se la disciplina è legata alle regole, queste sono legate all’autorità: una capacità che lo psi-chiatra francese Daniel Marcelli, che ne "Il bambino sovrano" (Raffaello Cortina) racconta di fi-gli despoti e genitori allo sbando, considera fortemente in crisi negli adulti. «Gli insegnanti so-no incerti su come disciplinare i ragazzi, i genitori su come educarli: oggi abbonda l’incertezza ma soprattutto l'autoritarismo, che strilla e impone, ma che non si fa rispettare naturalmente. Un insegnante che vieta i messaggini in classe ma tiene acceso il cellulare è autoritario ma non autorevole. Dovremmo invece educare i bambini, perché la disciplina va insegnata da piccolis-simi, un poco alla volta, il senso del limite e la capacità di sopportare una frustrazione». Daniel Marcelli crede in un'autorità democratica, che si spiega, discute, si fa comprendere. «È neces-sario. Anche perché oggi la società trasmette ai ragazzi l'idea che le regole sono laccioli per l'individualità, quasi degli attacchi alla libertà». |