Lezione d'arroganza.
di Margherita Hack, da il
Manifesto del 3/3/2005
Ogni riforma dell'università, che è la sede
primaria della ricerca, dovrebbe avere come scopo principale quello di
favorire la formazione dei ricercatori e sviluppare la ricerca di
base, senza la quale non ci può essere buona ricerca applicata, capace
di innovazione. La riforma dell'università proposta dal ministro
Moratti sta trovando l'opposizione di tutte le componenti del mondo
universitario e della ricerca, dai rettori ai professori di prima e
seconda fascia, ai ricercatori.
Da parte dell'Accademia dei Lincei e della conferenza dei rettori sono
state ripetutamente chieste al ministro audizioni per discutere queste
proposte di riforma, ma con l'arroganza e l'incompetenza tipica di
questo governo, sia che si tratti di scuola, di università, di
ricerca, di giustizia o di sanità, non è stato dato nessun ascolto
agli addetti ai lavori. L'incompetenza può anche essere scusata ma
l'arroganza no.
Oltre ai drastici tagli ai finanziamenti che rendono problematica la
sopravvivenza, ancora più preoccupante è la proposta di abolire il
ruolo dei ricercatori, sostituendolo con il precariato. Un giovane
diventa ricercatore dopo i quattro o cinque anni di università e
generalmente dopo altri tre o quattro anni per conseguire il titolo di
dottore di ricerca, infine in attesa di un concorso ha dietro a sé
altri due, tre o più anni come assegnista, o borsista in istituti
italiani o stranieri. Quando finalmente vince un concorso per titoli e
per esame, a un'età che nel caso più ottimistico è di 27 o 28 anni,
resta per tre anni ricercatore non confermato. Quando infine viene
confermato ha superato i 30 anni e c'è stato tutto il tempo per poter
verificare la sua attitudine o meno alla ricerca. Con la riforma
Moratti dopo il dottorato il giovane può avere un contratto a termine
di cinque anni, eventualmente rinnovabile per altri cinque anni. Dopo
di che o vince una cattedra o lascia l'università.
Ora, vincere una cattedra non sempre dipende dalle capacità
individuali. Occorre anche che ci siano le disponibilità finanziarie,
che per esempio vada in pensione un associato o un ordinario e si
liberino i fondi che servivano per i loro stipendi. Quindi bravissimi
giovani possono avere davanti a sé un futuro da precari fino a 40 anni
e poi un futuro ancora più incerto. Evidentemente la Moratti pensa che
la precarietà faccia lavorare di più e meglio. Ma la ricerca assorbe
completamente, e se uno non ha una certa tranquillità sul suo futuro
difficilmente potrà dedicare tutto il suo tempo e i suoi interessi
alla ricerca.
Abolendo il ruolo dei ricercatori si distrugge l'università: i giovani
infatti sono la linfa di cui si alimenta la ricerca. Le statistiche ci
dicono che soprattutto nelle materie scientifiche le maggiori scoperte
le fanno i giovani. Inoltre i ricercatori assolvono a molte delle
carenze didattiche, coprendo i corsi più pesanti e ripetitivi e
facendo il tutoraggio agli studenti.
Si vuole inoltre controllare l'attività scientifica e didattica dei
docenti. Giustissimo. Ma poi si introduce una modifica in senso
opposto, abolendo la distinzione fra professore a tempo pieno e
professore a tempo determinato. Il primo vive nell'università, non fa
solo le 350 ore di lezione, poco più di un'ora al giorno, ma fa
ricerca, che può assorbire ben più di 6 o 7 ore al giorno, segue le
tesi di laurea, e le sue lezioni non sono ripetizioni di cose imparate
sui libri ma il frutto della sua stessa ricerca. Il professore a tempo
definito fatte le sue ore di lezioni, quando le fa, scappa nel suo
proficuo studio di privato professionista. Se si vuole veramente
migliorare l'università , tutti i professori dovrebbero essere a tempo
pieno. Il controllo dell'attività scientifica può avvenire tramite le
pubblicazioni accettate su riviste internazionali.
Con referee (esperti) che anonimamente danno un giudizio sui lavori
inviati per la pubblicazione, mentre il controllo dell'attività
didattica può avvenire in base alla qualità delle tesi di laurea e
alla qualità degli studenti che escono da un determinato corso. Invece
di professori a tempo definito si dovrebbero assumere professori a
contratto per determinate e transitorie necessità, fra esperti
italiani o stranieri. Così pure si dovrebbe controllare l'attività
scientifica dei ricercatori, assunti in base al merito con concorsi
nazionali. Il loro numero dovrebbe essere almeno raddoppiato, come
pure i fondi per la ricerca e l'università, per portarsi al livello
medio europeo che investe il 2,5% del pil contro il nostro 1%. Si
dovrebbe incentivare il numero di borse di studio e di case per gli
studenti meritevoli di famiglie a basso reddito, in modo da rendere
effettivo il diritto allo studio per tutti. Certo occorre aumentare
sensibilmente l'investimento per la scuola, l'università e la ricerca,
che sono fondamentali per lo sviluppo e la competività del paese,
capire che è una priorità.
Questo governo parla di voler richiamare in patria i tanti ricercatori
costretti ad emigrare. Ma all'atto pratico cosa si offre ai
neoricercatori e ai neodottori di ricerca? Precarietà e il blocco
delle assunzioni ai vincitori di concorso. Creando una nuova figura,
quella del ricercatore vincitore di concorso in attesa di prendere
servizio (e ovviamente stipendio).