Il governo approva la riforma e divide
in due le superiori.
Scuola, arriva il liceo di serie B.
Studi «classisti» «Doppio canale» per
gli istituti e stage in aziende. Torna il tutor.
Opposizione e sindacati
protestano: non siamo stati consultati,
avremo studenti di serie A e serie B. I
Cobas: come prima del `62
di Angelo Mastrandrea, da il Manifesto del 28/5/2005
Un doppio canale che piace tanto al governo e a
chi l'ha ideato, vale a dire il ministro dell'Istruzione Letizia
Moratti, e fa parlare l'opposizione di «atto classista». Perché nella
riforma della scuola secondaria varata ieri dal consiglio dei ministri
sono previsti due tipi di istruzione: quella dei licei, con il
conseguimento di un diploma finale, e quella dell'istruzione e
formazione professionale, che invece consegnerà una qualifica.
Entrambi con «pari dignità» e con percorsi culturali comuni, assicura
il governo. e con la possibilità di effettuare stage e tirocini in
modo da alternare scuola e lavoro, ma con modalità diverse di accesso
all'università. E per questo nel mirino dei sindacati e
dell'opposizione, che arriva a parlare con la diessina Alba Sasso di
«una scuola per cittadini di serie A e una scuola per cittadini di
serie B» e con Piero Bernocchi dei Cobas di un «apprendistato gratuito
al servizio dell'impresa privata», visto che «gli istituti
professionali escono di fatto dalla struttura scolastica e vengono
appaltati alle aziende». Il provvedimento attuativo della riforma
Moratti, che arriva dopo quelli sul primo ciclo, sul riordino
dell'Invalsi, sull'alternanza scuola-lavoro, sul diritto-dovere
all'istruzione e sulla formazione degli insegnanti, non sarà comunque
immediatamente esecutivo ed è prevedibile che incontrerà notevoli
difficoltà. Prima dovrà infatti essere esaminato dalla conferenza
Stato-regioni, con queste ultime per nulla convinte in particolare
dalla copertura finanziaria, poi sarà sottoposto al voto parlamentare,
dove si annuncia battaglia.
Ma vediamolo nel dettaglio. Partendo ovviamente dai licei, che
dureranno cinque anni, prevalentemente propedeutici alla prosecuzione
degli studi, con frequenza obbligatoria per almeno 3/4 dell'anno e una
valutazione anche sulla condotta, e termineranno con un esame di stato
e un titolo di studio che avrà valore legale. E' prevista la
personalizzazione dei percorsi e l'introduzione della figura del
tutor. Ci saranno quattro licei con indirizzi e altrettanti senza.
L'orario minimo annuale di lezioni è di 990 ore, con percorsi sia
triennali che quadriennali più un anno integrativo, per gli istituti
professionali, per accedere all'università. Viene favorita anche
l'alternanza scuola-lavoro e il decreto prevede che un unico campus
potrà ospitare i licei con indirizzo e gli istituti di formazione
professionale. Altre novità sono l'insegnamento in inglese di una
disciplina nel quinto anno, mentre nel linguistico sono previste 33
ore annue di conversazione con docenti di madrelingua ed è introdotta
una seconda lingua comunitaria obbligatoria. Infine, gli organici
rimangono confermati fino al 2010-2011, la copertura finanziaria è
prevista in 44 milioni di euro per il 2006 e 43 milioni dal 2007,
mentre i percorsi saranno avviati gradualmente dal 2006-2007. Il
ministro Moratti naturalmente difende a spada tratta la riforma, che
darebbe ai giovani «tutti gli strumenti per inserirsi in maniera
attiva in un mondo sempre più difficile», e alle critiche risponde
affermando che il provvedimento dà la «possibilità di accedere
all'università da entrambi i percorsi» e che comunque «lungo il
cammino» lo studente potrà anche modificare le sue scelte e passare da
un istituto a un altro.
Ma al centrosinistra non piacciono né i contenuti del decreto e
tantomeno i metodi utilizzati dal governo. «E' l'ennesima
dimostrazione della mancanza di volontà di dialogo da parte di una
maggioranza che sta imponendo dall'alto una riforma non discussa, non
condivisa e non partecipata», sostiene Alba Sasso, per la quale «le
obiezioni delle parti sociali, dei sindacati e degli operatori della
scuola sono rimaste inascoltate». La rifondarola Titti de Simone
chiede al governo di fermarsi e di «riaprire il confronto con il mondo
della scuola e i sindacati» e propone che nei prossimi mesi l'Unione e
i movimenti promuovano «una straordinaria mobilitazione per la scuola
pubblica». Mentre per Piergiorgio Bergonzi del Pdci si tratta
dell'«ennesimo, inaccettabile schiaffo all'istruzione». «Il decreto
oggi approvato proseguono svilisce le migliori esperienze della scuola
superiore italiana», sostengono invece Fausto Raciti e Stefano
Fancelli, portavoce degli Studenti di sinistra e della Sinistra
giovanile.
Sul piede di guerra anche i sindacati. «Un brutto provvedimento»,
commenta Enrico Panini della Cgil, con il quale il governo «ha deciso
di iscrivere nella sua agenda l'apertura di uno scontro durissimo con
la Cgil». Sotto accusa, prima ancora che il merito, il metodo
adottato: «Il consiglio dei ministri ha approvato un testo che è il
frutto di un lungo lavorio in segrete stanze a cui non si è ritenuto
di dover far partecipare nessuno dei soggetti a cui il ministro in
persona, dal lontano 13 gennaio 2005, aveva, al contrario, garantito
un percorso di confronto continuo». La Cisl si sofferma invece sugli
effetti della riforma: ci saranno «meno tempo scuola, inesigibilità
del diritto allo studio, assenza di una pari dignità dei percorsi
formativi, inesistenza di risorse per supportare la riforma». «E'
forte il rischio che venga meno l'impianto unitario e nazionale del
nostro sistema di istruzione», dice invece Massimo di Menna della Uil.
Mentre per Bernocchi dei Cobas con questa riforma si torna a prima del
1962, con un ritorno alla vecchia scissione tra scuola e avviamento
alle professioni.