Secondo ciclo

Contro la politica dei due tempi.

da TuttoscuolaNews N. 198, 9 maggio 2005

 

TuttoscuolaFOCUS n. 101/197 della scorsa settimana ha sottolineato il significativo risultato conseguito dalle Regioni che avevano indotto il ministro Moratti a separare, nel decreto di riforma del secondo ciclo, la definizione dell'aspetto ordinamentale, riservato allo Stato, da quello dell'organizzazione e della gestione che il vigente Titolo V della Costituzione attribuisce alla competenza delle Regioni, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.

Ma se questa distinzione di competenza si dovesse trasformare in una successione asincronica e scoordinata di interventi, essa da preziosa opportunità si trasformerebbe in un gravissimo handicap per tutti, con pesanti ricadute sulla capacità del sistema di garantire la con-tinuità dell'erogazione del servizio su tutto il territorio nazionale.

Il Governo, il Ministero, da questo punto di vista, devono assumersi la responsabilità politica di far camminare il livello nazionale e quello regionale in maniera parallela, chiarendo con precisione tempistica e contenuti. Non avrebbe senso, infatti, varare il decreto sul secondo ciclo senza che i docenti, le famiglie, i ragazzi e l'opinione pubblica sapessero bene, anzitutto, il ruolo assegnato all'autonomia delle istituzioni scolastiche dalle Regioni e, in secondo luogo, in questo contesto, se le Regioni sceglieranno politicamente di distribuire e di organizzare l'offerta formativa lasciando sostanzialmente le cose come stanno, ma introducendo il biennio integrato (come propone una parte consistente dell'Unione), oppure attivando nelle sedi dei licei economici e tecnologici anche percorsi almeno quadriennali di istruzione e formazione professionale di uguale natura (Confindustria docet), oppure ancora scegliendo la formula del campus che prevede la costituzione a rete di percorsi formativi integrati per tutti i licei e gli istituti di istruzione e formazione professionale (nel senso di autorizzare, ad esempio, pure i licei delle scienze umane non solo ad aprire altri percorsi lice-ali, ma anche percorsi di istruzione e formazione professionale dai 14 ai 23 anni di natura e-ducativa, sociale e assistenziale).

 

Sarebbe suicida per il sistema scolastico e per il Paese assumere queste decisioni senza conoscere in tempo reale la flessibilità possibile sugli organici (ferma restando la necessità di garantire i livelli occupazionali del personale), i flussi di pendolarismo degli studenti, gli spazi per riprogettare orari e percorsi dei mezzi pubblici, la domanda storica di iscrizione ai diversi istituti espressa dalle famiglie, la possibilità di riconversione delle strutture edilizie, la disponibilità delle attrezzature sportive ecc.

Le Regioni dovrebbero, perciò, ultimata la fase di insediamento dei Consigli Regionali e di costituzione delle Giunte di governo regionale, assumere l’iniziativa politica di chiamare il Governo attorno ad un tavolo per esplicitare le reciproche responsabilità davanti al Paese.

Non è la stessa cosa prevedere di svolgere non solo l’educazione fisica e sportiva, ma anche tutte le altre discipline di insegnamento, mantenendo l’attuale impostazione rigidamente separata per ore, classi e ordini scolastici, oppure nel modo integrato e trasversale ipotizzabile nei poli o, ancora di più, nei campus. E poi, se anche le Regioni decidessero di lasciare la situazione attuale, il decreto prevede comunque sul piano ordinamentale una prima significativa flessibilizzazione del piano degli studi. Si parla di discipline opzionali obbligatorie e opzionali facoltative. La vecchia rigidità della classe non è più immaginabile nemmeno mantenendo gli attuali istituti.

Anche per l’organico del personale appare non sufficiente la semplice previsione del mantenimento degli organici per un certo numero di anni. Ciò che conta è salvaguardare i livelli occupazionali e forse incrementarli (oltre che riqualificarli) se il Paese vuole dotarsi di un sistema di "apprendimento lungo tutto l’arco della vita". Il fabbisogno di risorse umane potrebbe più essere calcolato secondo i tradizionali criteri?

Gli effetti gestionali e organizzativi di queste scelte, come si può intuire, potrebbero essere dirompenti. Ha senso percorrerle al buio, senza che nessuno dica niente?