Parole disperate

Drammatico annuncio di Berlusconi

«Non ci sono soldi per i contratti».

Il premier prende atto del fallimento economico
e conferma che non darà aumenti agli statali

Poi ammette: c’è chi vuol farmi mollare.
I sindacati: «È il loro 8 settembre, sarà lotta dura»
 

di Bianca Di Giovanni da l'Unità del14/5/2005

 

ROMA In cassa non c’è più nulla, i lavoratori facciano sacrifici. Questo il messaggio lanciato dal premier al termine di un difficile Consiglio dei ministri. Berlusconi non accetta la parola recessione, ma ammette almeno la stagnazione. Oggi, «con l’Europa», è difficile far ripartire l’economia, lamenta il premier. Per questo le parti sociali devono «essere corresponsabili» dei destini del Paese. Intanto ancora promesse di sgravi fiscali: 12 miliardi di Irap in meno in un solo anno, copertura da dilazionare in 3 anni. Questo si proporrà a Bruxelles. Contratti pubblici verso un rinvio, per i sindacati sarà lotta dura. A tarda sera il premier ammette: io non mollo, ma qualcuno vorrebbe farmi mollare . . .

 

Non balla più sul Titanic il premier. Siamo già alla fase successiva. All’epilogo della tragedia. La nave del governo sta affondando e Silvio Berlusconi è costretto a mettersi alla ricerca di qualcuno che possa lanciargli un salvagente. Per restare a galla non gli è sufficiente l’accordo di tutti i ministri dopo quattro ore di Consiglio (che però mostra subito vistose crepe) sulla strategia da seguire maturata dopo una impietosa relazione di Siniscalco. Bisogna cercare di coinvolgere i sindacati, come suggerisce Fini, in nome di una «corresponsabilità» che nulla ha a che vedere con un ritorno alla «concertazione». Bisogna sollecitare la collaborazione dell’opposizione «che se ha in serbo idee che noi non abbiamo ce le dica e magari insieme vediamo di attuarle» dice il premier con un tono a metà tra la provocazione e la speranza che quelli ci caschino.

Il premier ci tiene a precisare «non sono pessimista ma realista» mentre è costretto ad ammettere che il «Paese è in stagnazione» davanti agli inesorabili dati dell’Istat che ci dice «che è un momento difficile». Certo, si difende, non è la condizione di «recessione» su cui punta il dito l’opposizione, i sindacati con Guglielmo Epifani che parla di «8 settembre» e anche la Confindustria ma, comunque, non è un gran bel risultato per chi ha sempre sostenuto che gli italiani stanno benissimo anche se non se ne rendono conto.

Mostra una faccia diversa dal solito Berlusconi, senza il sorriso dell’imbonitore convinto di poter vendere frigoriferi in Alaska, quando al termine della giornata in cui ha deciso che bisognava ancora una volta rinviare la firma al contratto degli statali che aspettano da sedici mesi, si presenta alle telecamere ed ai giornalisti nel tentativo di fornire la lettura ottimistica di una debacle.

Cosa che, per una volta, non gli riesce niente bene. Si barcamena tra l’ipossibilità a concedere agli statali mentre «anche il 60 per cento dei privati» aspettano la sigla al loro contratto. Dice di aver quantificato in 992 milioni di euro la spesa per accantentare le richieste di chi, in fondo, questo contratto lo vedrà «a regime solo nel 2006», cioè quando bisognerà cominciare già a lavorare a quello prossimo. Quasi a dire che forse si potrebbero allungare i tempi in modo da far pesare il costo sui bilanci futuri. Che, presumibilmente, non lo riguarderanno. Il primo esempio concreto del buco modello Berlusconi con cui bisognerà fare i conti.

«Non è facile rilanciare l’economia» è costretto per la prima volta ad ammettere l’uomo che sostiene che si governa proponendo sogni. È costretto a riconoscere che la tanto sbandierata riduzione delle tasse sugli italiani non ha avuto che l’effetto di un po’ di «solletico», cosa che peraltro «io sapevo bene». È costretto a dire che non è intenzionato a «fare una manovra bis» ma non anticipa come intende uscire da una crisi che torna a far aleggiare lo spettro del voto anticipato ad ottobre. In attesa di un Dpef che pensa potrebbe essere proposto «entro due settimane» ed anche l’anticipazione della Finanziaria, se sarà possibile, il Cavaliere guarda all’Europa.

L’ultima chance è riuscire ad ottenere da Bruxelles, facendo «un’azione di forza» il via libera al taglio dell’Irap per dodici miliardi di euro, tutto in un anno e non nei tre previsti, sfondando i parametri comunitari. «I partner europei dovranno fare un bagno di umiltà» dice Berlusconi in un improvviso ritorno di arroganza. Quel bagno dovrebbe farlo innanzitutto lui. Prima di perdersi tra le onde.