RISPONDE PIETRO GARGANO.
 

La scuola non è un’anticamera per il lavoro.

 

da il Mattino di Napoli del 16/5/2005

 

Quando, anni fa, decisi di fare l’insegnante e fui assunto nella scuola, non immaginavo certo di dover operare in un’azienda. Anzi, ero convinto che il mondo della scuola fosse estraneo e immune da ogni logica capitalista. Anche per questo scelsi l’insegnamento, che reputavo una professione creativa e pensavo offrisse molto tempo libero, un bene più prezioso del denaro.

A distanza di anni, eccomi catapultato in un ingranaggio industriale, con la differenza che nella scuola non si producono merci di consumo. Del resto, non mi pare di aver ricevuto una preparazione idonea a un’attività manifatturiera, ma si sa, viviamo nell’era della "flessibilità".

Ormai sento sempre più spesso adoperare un lessico tipicamente imprenditoriale: termini e locuzioni come economizzare, profitto, utenza, competitività, produttività, tagliare i rami secchi e via dicendo sono diventati di uso assai comune, soprattutto tra i cosiddetti dirigenti scolastici che non sono più esperti di psico-pedagogia e didattica, ma pretendono di essere considerati presidi-manager. Perlomeno, in tanti si proclamano e si reputano manager, ma sono in pochi a saper decidere abilmente come e perché spendere i soldi, laddove ci sono. Inoltre, anche nella scuola pubblica si sono affermati tipi di organigramma e metodi di gestione mutuati dalla struttura manageriale dell’impresa neocapitalista.

All’interno di questo assetto gerarchico sono presenti vari livelli di comando e subordinazione. Si pensi, ad esempio, al "collaboratore-vicario" che, stando all’attuale normativa, viene designato dall’alto, direttamente dal dirigente (prima, invece, era il collegio dei docenti che eleggeva democraticamente, dal basso, i suoi referenti, a supportare il preside nell’incarico direttivo). Si pensi alle Rsu, ossia i rappresentanti sindacali, eletti dal personale lavorativo, docente e non docente. Si pensi alle "funzioni strumentali", ossia le ex "funzioni-obiettivo".

In altri termini, si cerca di emulare, in maniera comunque maldestra, la mentalità economicistica, i sistemi e i rapporti produttivi, i comportamenti e gli schemi psicologici, la terminologia e l’apparato gerarchico, di chiara provenienza industriale, all’interno di un ambiente come la scuola pubblica, cioè nel contesto di una istituzione statale che dovrebbe perseguire come suo fine supremo «la formazione dell’uomo e del cittadino» così come detta la nostra Costituzione (altro che fabbricazione di merci). È evidente a tutte le persone dotate di buon senso o di raziocinio, che si tratta di uno scopo diametralmente opposto a quello che è l’interesse primario di un’azienda, cioè il profitto economico privato. La Mor-Attila e i vari manager della scuola, in buona o in mala fede, confondono tali obiettivi, alterando e snaturando il senso originario dell’azione educativa, una funzione che è sempre più affine a quella di un’agenzia di collocamento o, peggio ancora, a quella di un’ area di parcheggio per disoccupati permanenti.

Ma perché nessuno mi ha avvertito quando feci il mio ingresso nella scuola? Probabilmente, qualcuno potrebbe obiettare: «Ora che lo sai, perché non te ne vai?». Ma questa sarebbe un’obiezione aziendalista e come tale la rigetto.

Lucio Garofalo - LIONI (AV)

 

Il professore Garofalo la butta anche un po’ in politica e vorrei evitarlo. Però confesso di soffrire pure io la sensazione di vivere in un’enorme azienda, in un tempo in cui il danaro, il successo, i nudi bilanci, la concorrenza a oltranza, la fanno da padroni. Una volta era la politica - il governo delle cose in nome di un interesse collettivo - a guidare l’economia, sia pure con errori. Oggi accade il contrario. E ciò, purtroppo, si riflette soprattutto sui giovani. Sarà ingenuo, ma mi ostino a pensare che c’è un tempo per ogni cosa. E l’adolescenza è la stagione della mente aperta, del volo, del sogno per usare una parola fuori moda, micidialmente ritenuta retorica. Hanno ridato un bel film con Dreyfuss, professore di musica licenziato perché, per risparmiare un dieci per cento, il preside ha tagliato la sua materia e i corsi teatrali. «Se debbo scegliere tra matematica e Mozart, butto a mare Mozart» dice più o meno il preside. E l’anziano prof replica: «Così i ragazzi cresceranno più aridi». La penso nello stesso modo. La scuola non è l’anticamera dell’ufficio o della fabbrica: è il luogo in cui ci si prepara a questo e a quello, aprendo la mente, imparando il bello, cominciando a diventare adulti. Far solo di conto provoca guasti.