Le carriere, le cattedre e la battaglia negli atenei. da Il Corriere della Sera del 19/6/2006
Confessiamo che, quasi al termine di una lunga carriera scientifica ed accademica, avremmo preferito apparire sul Corriere della Sera per la nostra attività di studiosi che ci impegna a tutt’oggi; ma tant’è, ci troviamo vittime della vecchia tecnica del «sbatti il mostro in prima pagina». Prendiamo atto che ci sono dei pentiti certo autorevoli, ma, a prescindere da Gino Giugni da 35 anni presentato come padre dello Statuto, Umberto Romagnoli e Michele Tiraboschi si trovano accomunati dall’essere uno maestro e l’altro allievo di Marco Biagi: povero Marco, perché il primo non è mai stato suo maestro (lo era Luigi Montuschi); ed il secondo lo è stato certo ma, diciamo così, ci vive su un po’ di rendita. Bene, sono pentiti, perché è chiaro che tutti hanno lucrato dal sistema che condannano, visto che Giugni in questi ultimi anni si è visto collocare in prima fascia sette suoi allievi o allievi dei suoi allievi; visto, altresì, che Romagnoli è stato commissario interno in due concorsi di prima fascia (Verona e Bari) e visto, infine, che Tiraboschi dopo la morte del suo maestro, ha insistito e ottenuto che uno dei due scriventi, Carinci, fosse suo commissario interno nel concorso di Modena che lo ha portato alla cattedra. Ma tant’è, i pentiti sono tali perché hanno partecipato al compimento del reato. Solo che dovrebbero essere anche operosi, ma lo sono a modo loro, denunciano il complotto ma non i registi; i nomi di quelli li sussurrano sottovoce. Non scambiamo per grandi battaglie di principio le piccole miserie della convivenza. Andiamo ai fatti; e i fatti sono questi: 1) Non è un caso che alla vigilia di qualsiasi riforma universitaria si apra una battaglia demonizzatrice contro i concorsi, premessa di una ruolizzazione di massa. 2) La stessa disciplina dei concorsi in vigore è stata escogitata in chiave di garanzia della carriera di coloro che erano già dentro all’Università, per permettere ai ricercatori di divenire associati e agli associati di divenire ordinari: basti pensare alla nomina del commissario interno, a protezione del figlio prediletto della Facoltà; alla previsione di due e, poi, un’idoneità aggiuntive, quale merce di scambio; alla possibilità data alla Facoltà banditrice di non chiamare nessun vincitore. Tutta colpa della legge, nessuna della comunità scientifica? Certo che no, ma è una rappresentazione caricaturale quella di pensare che ci sia una sorta di grande vecchio, individuale o collettivo, capace di condizionare o, addirittura, ricattare tutta la corporazione: un gruppo ristretto di boss spregiudicati e una massa informe di vili. Non è così, almeno non lo è nella nostra materia, dove i professori straordinari ed ordinari si stanno avvicinando alle 100 unità, distribuiti in una molteplicità di sedi e facenti capo a molte scuole grandi e piccole: le commissioni di concorso hanno via via contato fra i loro membri quasi tutti i professori della materia; i vincitori riproducono il pluralismo vivacissimo che ci contraddistingue. E veramente ci fa sorridere il fatto che ci siano meritevoli in lista di attesa, perché essendo tanti i posti disponibili si è potuto far spazio per tutti quelli che non dico avessero raggiunto la maturità scientifica, ma facessero sperare di poterla conseguire. Abbiamo avuto occasione di leggere l’articolo di Ichino, largamente condivisibile, se non per quel finale relativo al grande vecchio che sarebbe legittimo se non eccedesse in telefonate: ma è perlomeno strano che, se per grande vecchio si intendono le chiacchierate in manica di camicia di tanto in tanto fra i prepensionati della materia, ci siano i nomi dei due sottoscritti, ma manchi quello di qualcun altro assai più illustre e autorevole, ad esempio Treu. Finiamo con questi scandalismi di facile maniera; giudichiamo le persone sulla base del loro passato; rimbocchiamoci le maniche, chiedendo al legislatore una riforma più coraggiosa in senso meritocratico: va bene la riduzione a un solo idoneo, ma occorre anche eliminare la figura equivoca del commissario interno o almeno renderne facile la sostituzione, quando egli boicotta lo svolgimento del concorso, nonché obbligare la Facoltà che ha bandito a chiamare colui che sia risultato vincitore.
Università La Sapienza di Roma
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