La storia ai tempi di Letizia Moratti.
da
l'Unità del 6
gennaio 2004
Quella di Darwin era troppo grossa perché
passasse sotto silenzio. Ma dopo quel rigurgito di protesta e di
mobilitazione, poche sono state le voci che si sono fatte sentire in
materia di programmi scolastici.
Sembrano lontani anni luce i tempi delle Indicazioni Nazionali sui
curriculum di Berlinguer-De Mauro, quando il mondo della cultura tutto
scese in campo, facendosi sentire su tutti i giornali con un celebre
“manifesto dei trentatre” e con interventi diversificati che
giudicavano l'operato dei colleghi che avevano redatto quelle
Indicazioni. Fondati o meno che fossero quei giudizi, si celebrò in
quel caso un significativo rito democratico.
I nomi di coloro che hanno messo mano alle Indicazioni Nazionali
allegate in via transitoria al decreto legislativo 59/04 (il primo
decreto attuativo della riforma Moratti) sono stati rigorosamente
nascosti. L'unico che si conosce è quello del prof. Bertagna: ma
nemmeno lui - da solo - sarebbe riuscito a produrre un simile
disastro. Affidare la scrittura delle Indicazioni Nazionali ad una
commissione che non è mai stata ufficializzata, nonché la scelta di
allegare le indicazioni al decreto legislativo, disponendone
l'adozione in “via transitoria” (formula non prevista dalla legge
53/03, la delega sulla riforma scolastica) rappresenta, oltre che una
forzatura della normativa vigente (sulla quale i sindacati hanno
presentato ricorso al Tar) anche un'ulteriore conferma di mancanza di
volontà di coinvolgimento, sia del mondo della cultura che dei
soggetti interessati. Tra i regolamenti attuativi della legge 53 (come
indicato nell'art. 7) c'è infatti anche “L'individuazione del nucleo
essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale”,
cioè i futuri programmi.
I regolamenti, per essere emanati, devono seguire un iter preciso.
Secondo quanto predisposto dalla stessa legge delega, la bozza deve
essere fatta d'intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni, poi
sottoposta al giudizio delle commissioni parlamentari, a quello del
Consiglio di Stato e della Corte dei Conti; poi, ai sensi del
regolamento sull'Autonomia, anche al parere del Consiglio Nazionale
della Pubblica Istruzione. Tale iter deve essere ancora percorso e
quindi le Indicazioni Nazionali non possono essere considerate
prescrittive.
Noto però nel sussidiario di mio figlio, che frequenta la terza
elementare, 20 pagine dedicate alla storia (di cui 17 di esercizi). Le
3 pagine residue spiegano cosa sono i documenti e raccontano dei
dinosauri e dell'uomo nella Preistoria. Stop. Le case editrici non si
sono dunque fatte pregare ad adeguarsi alle Indicazioni, sebbene non
prescrittive, e vincolanti solo nel senso che gli insegnanti sono
tenuti a garantire la “configurazione degli obiettivi di
apprendimento” come recita da C.M. 29/04. Per quanto riguarda la
storia è indubbio che i programmi della scuola elementare, risalenti
al 1985, e quelli della media (1979) andavano rivisti, soprattutto
alla luce delle ricerche e delle sperimentazioni di didattica della
storia sviluppatesi negli ultimi anni.
La ripetizione ciclica dei contenuti della storia (alle elementari,
alle medie e alle superiori) aveva il senso di impostare
l'insegnamento introducendo gradualmente gli alunni alle difficoltà
dell'apprendimento della storia: nel primo biennio elementare, con un
approccio al primo sapere storico, costruendo le prime fondamentali
abilità per la individuazione dei nessi passato-presente.
Successivamente con la costruzione a maglie larghe di una mappa del
mondo definita per “quadri di civiltà”, dalle origini al presente, in
una successiva e sempre più particolareggiata analisi, dalle
elementari alle medie, fino ad arrivare alla lettura definitiva delle
scuole superiori. Una tale ciclicità assecondava i diversi ritmi di
apprendimento e la maturazione degli scolari, favorendo da una parte
il rafforzamento dei prerequisiti e dall'altra una lettura sempre più
analitica e consapevole del fatto storico.
Il limite, semmai, stava nel fatto che l'editoria scolastica non è mai
stata realmente in grado di discostarsi da un modello che proponesse
il racconto sintetico e, spesso, incomprensibile, di alcuni eventi del
passato scelti secondo criteri arbitrari e tradizionali. La sfida di
molti insegnanti è stata quella di sostituire all'immagine del
“ripetitore di manuale” quella del ricercatore in grado di accreditare
presso gli studenti una concezione della storia corretta dal punto di
vista scientifico e appassionante da quello dell'apprendimento.
Certamente le Indicazioni Nazionali non risolvono tali problematiche,
né tengono conto dei risultati della didattica: procedono, semmai, ad
un'operazione tutta ideologica di vecchio stampo che individua nella
storia lo strumento che la scuola ha a disposizione per veicolare
valori e formare identità sulla base di una selezione di contenuti da
imparare. La selezione proposta è inaccettabile; ed in questi giorni
una parte dell'opposizione ha puntato su omissioni e revisioni
insostenibili. Basti pensare che la conquista coloniale dell'America e
del resto del mondo da parte dell'Europa viene inserita sotto la voce
“La scoperta dell'altro”…
Quello che interessa qui sottolineare è che il primo ciclo di
istruzione, primaria e secondaria di I grado (elementari e medie,
l'unico obbligatorio nella riforma Moratti) prevede lo studio della
storia una sola volta per sei anni, dalla III elementare alla III
media. La III elementare è dedicata alla preistoria. “In relazione al
contesto fisico, sociale, economico, tecnologico, culturale e
religioso, scegliere fatti, personaggi esemplari evocativi di valori,
eventi ed istituzioni caratterizzanti”: è questa la premessa che
introduce le Indicazioni per la IV e la V che si occupano del mondo
antico. La stessa premessa accompagna l'elenco delle tematiche da
trattare alla scuola media, che arriveranno, al termine della III
media, alla contemporaneità.
Dobbiamo aspettarci, dunque, i “medaglioni” di Cornelia e di
Cincinnato, in una visione della storia aneddotica, lontanissima dalla
ricerca storiografica. L'omissione della parola curriculum, poi, e la
ripetizione della premessa denunciano la mancanza di accorgimenti
pedagogico-didattici nell'accompagnare il passaggio dalle elementari
alla medie. È possibile ipotizzare che quanto il bambino abbia
compreso del mondo greco a 9 anni sia sufficiente per sostenerlo sino
ai 14, quando - qualora decida di continuare a studiare - ritornerà su
quella civiltà del passato? Che fine fanno i risultati delle ricerche
e sperimentazioni di didattica applicata degli ultimi 20 anni?
Non sembra essere un problema della Moratti. Ma degli insegnanti sì. E
molti, nonostante lo zelo degli editori ad allinearsi al diktat del
Governo, continuano a svolgere il programma tradizionale, evidenziando
ancora una volta l'inadeguatezza della politica impositiva del
Ministro. Che continua a dividere percorsi e destini. E dimostrando
consapevolezza del fatto che - soprattutto per chi non continuerà gli
studi - un'unica occasione di avvicinamento all'indagine conoscitiva
del passato rappresenta un'ulteriore, severissima penalizzazione.