Precari a vita e malpagati, radiografia dei lavoratori flessibili.
di Red da l'Unità del 14/1/2005
Giovane, ma non giovanissimo, con un datore di lavoro che lo paga poco e quando gli pare, lasciandolo precario a vita. Non stupisce che il lavoratore atipico medio non ci pensi neppure a sposarsi e fare figli. Ha un’età compresa tra i 18 e i 39 anni, una laurea, e una speranza di futuro assai bassa, secondo le anticipazioni del rapporto dell'Eurispes2005. Dallo studio emerge che il lavoro flessibile diventa sempre meno temporaneo per la gran parte degli italiani: non solo tra i più giovani, ma anche nella fascia d'età compresa tra i 26 e i 39 anni. E il lavoratore precario è sempre più insoddisfatto perché considera il suo futuro incerto. Dall'indagine, condotta tra il 25 novembre 2004 al 5 gennaio 2005 su un campione rappresentativo di 446 lavoratori atipici, emerge infatti che il 61,7% degli uomini e il 62,8% delle donne intervistati hanno sempre lavorato con contratti atipici. Il fenomeno non riguarda solo i più giovani, (il 57% ha tra i 18 e i 25 anni) ma anche, e con percentuali maggiori, i lavoratori tra i 26 e i 32 anni (66,9%) e fra i 33 e i 39 anni (67,8%). La stragrande maggioranza del campione (89,7%) risulta celibe o nubile e appena il 6,5% h sposato, l'1,3% convive ed il 2,5% h divorziato o separato. Estremamente contenuta, tra i lavoratori atipici intervistati, la genitorialità: appena il 6,5% ha uno (3,4%) o più figli (3,1%). Per la maggior parte degli intervistati, il lavoro flessibile non rappresenta, in definitiva, un'opportunità di primo inserimento lavorativo. «Negli ultimi anni - dichiara Gian Maria Fara, presidente dell'Eurispes - la nostra classe dirigente politica e imprenditoriale ha puntato solo ed esclusivamente sulla flessibilità e sulla riduzione del costo del lavoro come fattori-chiave per garantire una maggiore competitività all'impresa italiana, disinvestendo nella ricerca e nell'innovazione tecnologica, ovvero in quelli che, nei sistemi economici avanzati, dovrebbero rappresentare il vero motore dello sviluppo e della crescita». «La flessibilità purtroppo - prosegue Fara - in Italia è stata interpretata soltanto come possibilità per l'imprenditore di modificare in qualsiasi momento le condizioni del rapporto di lavoro (e quindi anche le modalità di cessazione del rapporto di lavoro) con il proprio dipendente e non come strumento in grado di rendere flessibile l'organizzazione stessa del lavoro». Fara parla di un tipo di approccio «fallimentare» in base ai risultati che, «dopo l'edificazione di un modello normativo tutto sommato coerente nei suoi principi ispiratori e nei suoi istituti giuridici, sono sotto gli occhi di tutti, viste le performance negative del nostro sistema economico negli ultimi 4 anni». Percentuali basse riguardano invece le irregolarità dei pagamenti. Il 71,5% dei lavoratori atipici intervistati infatti percepisce lo stipendio mensilmente, mentre il 10,8% viene pagato ogni 2/3 mesi, lo 0,7% ogni 4/5 mesi ed il 5,2% alla consegna del lavoro. Ma c'è anche una percentuale non trascurabile, pari all'11,2% del campione che viene pagato senza una cadenza periodica regolare. La tipologia del contratto più frequente risulta «a progetto» con il 27,9% degli intervistati, il 22,9% ha invece un contratto occasionale ed il 20,9% è un collaboratore coordinato e continuativo. Risulta abbastanza importante, tra gli intervistati, anche la quota di quanti hanno un contratto di tipo subordinato a tempo parziale (13,2%), mentre l'8,5% lavora tramite agenzie interinali ed il 5,4% tramite contratto d'inserimento. Eppure la maggior parte degli intervistati ha già raggiunto una certa maturità professionale. Si tratta, infatti, di persone per la maggior parte dei casi pienamente inserite nel mercato del lavoro. Tra i co.co.co. ben il 78,5% lavora per un unico datore di lavoro, il 73,1% svolge un lavoro a tempo pieno e al 71% viene richiesta una presenza quotidiana (appena il 12,9% gestisce in modo del tutto autonomo i modi e i tempi del proprio lavoro). Solo il 31,1% del campione lavora da un periodo relativamente breve: dai 6 mesi a un anno (16,1%) o da non oltre i 2 anni (15%). Il 38,6% vanta invece un'esperienza lavorativa pluriennale, tra i 2 e i 3 anni (20%) o tra i 4 e i 5 anni (18,6%), mentre il restante 30,3% lavora da un periodo di tempo ancora più lungo: 5-10 anni (22%) o anche più (8,3%). |