SQUILLA IL CELLULARESUL DESTINO SCOLASTICO. di Mario Pirani da la Repubblica del 28/2/2005
Se non sbaglio solo pochissimi giornali (il nostro e Il Messaggero, che vi ha dedicato un editoriale) hanno pubblicato una notizia che a me sembra di enorme quanto negativa portata: la Cassazione ha condannato per violenza privata un professore di Lecco, Walter C. per aver tentato di farsi consegnare dalla studentessa Natascia C. il cellulare che costei, malgrado gli inviti a desistere, seguitava ad usare durante la lezione. La violenza, secondo i supremi giudici, è consistita nel fatto che il professore, prendendo per un braccio la ragazza le avrebbe procurato un "dolorino" a un piercing di cui ella si fregiava. I commenti e le interviste in merito, pubblicati dal quotidiano romano, meritano anch’essi di essere citati. Il presidente dell’Associazione presidi, Giorgio Rembaudo, sembra aver issato bandiera bianca: «Il problema è molto serio da una diecina d’anni, ma d’altra parte i trilli sono gli stessi che si sentono in qualsiasi convegno». Quindi, alla domanda se non sarebbe il caso di sequestrare i cellulari durante le lezioni, si esprime come neppure don Abbondio sarebbe capace: «Non parlerei di sequestro, piuttosto di deposito presso la cattedra, ma le soluzioni vanno cercate caso per caso. Il vincolo, comunque, va motivato, fatto comprendere ai ragazzi, altrimenti la scuola da educazione diventa coercizione». Commenti e fatti che inducono alla disperazione chi ancora riponga qualche speranza nei valori formativi ed educativi che la scuola dovrebbe istillare. Da questo episodio si ricavano, infatti, alcuni elementi di carattere generale. In primo luogo è evidente come l’ingresso del cellulare a scuola sia ormai un dato diffuso e senza freni. Che il suo uso contrasti con la necessità dell’attenzione, di quel tanto di raccoglimento per seguire una lezione, fare un compito o semplicemente ascoltare una interrogazione dovrebbe essere evidente a chiunque. Del resto nelle sale cinematografiche viene diffuso prima di ogni spettacolo l’invito a spegnere il telefonino. Ma soprattutto in ambiente scolastico rappresenta un atto di intrusione ai danni di chi vuol studiare e di chi deve insegnare. Ciò detto quel che colpisce non è il fatto che i giovani telefonomani con contorno di sms usino il loro apparecchio in classe, ma che questo venga consentito, con l’auspicio al massimo che venga concordata, ma senza alcuna "coercizione", una qualche pausa al continuo trillo che gioiosamente accompagna lo scandire dell’orario scolastico. Ma cosa aspetta Letizia Moratti a rompere la tradizione permissiva trasmessale dai suoi predecessori? Cosa aspetta ad emettere una circolare che vieti, senza se e senza ma, questo sconcio? Cosa aspettano i presidi a prendere analoghe iniziative in ogni singolo istituto? Perché lasciano soli e disarmati quei professori che tentano ancora di contrastare la devastazione imperante? Perché nessuno viene chiamato a render conto di un riformismo imbecille (di sinistra, di destra, di centro, marxista, cattolico e pseudo liberista) che, stando all’ultima grande rilevazione Ocse sui quindicenni di 30 paesi, ha finito per condannare i giovani italiani tra gli ultimi (tra il 21° e il 26° posto) per quanto riguarda conoscenze e doti applicative nella lingua nazionale, in matematica, scienza, capacità di risolvere problemi? Altro che portfolio delle competenze ed altre simile scempiaggini che hanno preso il posto dei voti, degli esami di riparazione, degli esami di Stato, di quel tanto di regole, accompagnate almeno da un minimo di severità applicativa indispensabile ad ogni percorso formativo. Anni orsono aprimmo un dibattito sulla necessità di ripristinare il 7 in condotta quale elemento dissuasivo dell’incombente bullismo di minoranze destinate altrimenti a prevaricare insegnanti e compagni. Sembrò che il ministero intendesse ristabilire il collegamento tra condotta e profitto. La "libertà di cellulare" dimostra che non se ne è fatto nulla. La condanna dell’incauto professore contiene, peraltro, un secondo avvertimento negativo. Chi ha promosso l’azione penale se non la famiglia dell’alunna che avrebbe, viceversa, dovuto ringraziarlo per l’atto di fermezza? Si tocca qui un altro aspetto generale che attiene alla negatività dell’invadenza della famiglia nella scuola. Famiglie che non solo si scaricano da ogni responsabilità educativa ma usano lo spazio che le riforme hanno loro incautamente offerto per contestare gli insegnanti troppo esigenti, ricorrere al Tar per annullare valutazioni negative, coltivare complicità per rendere la scuola sempre più facilona e corriva. A portata di telefonino. |