Quattro tegole sulla scuola italiana. di Titti De Simone da Liberazione del 3/2/2005
Pendono quattro tegole sulla testa della scuola pubblica. Sono i quattro decreti inerenti la riforma Moratti all'attenzione in questi giorni del Parlamento e che possono avere sull'intero sistema l'effetto di una bomba ad orologeria. Il primo riguarda l'abrogazione dell'obbligo scolastico (la riforma lo ha già abbassato a otto anni) e la sua trasformazione in un quantomeno ambiguo diritto-dovere esplicabile anche nella formazione professionale e nelle nuove forme di apprendistato che nei fatti, grazie alla legge 30, fanno entrare le aziende dentro le scuole regalando loro manodopera gratuita dei ragazzi di quindici anni. Il cerchio si completa col decreto sull'alternanza scuola-lavoro che in pratica disegna il nuovo meccanismo di canalizzazione precoce. Due provvedimenti irresponsabili e in controtendenza con l'esigenza di più tempo scuola dei livelli più alti di formazione di un elevamento dell'obbligo confermati dal trend europeo e anche dai dati resi noti dal ministero. Questi ultimi dicono che grazie alla legge 9/99, che aveva elevato di un anno la durata dell'obbligo scolastico, circa 40mila ragazzi si erano iscritti alla prima classe della scuola superiore e la stragrande maggioranza di loro ha proseguito gli studi nel sistema di istruzione anche dopo l'assolvimento dell'obbligo. Quando la legge 9/99 è stata abrogata, per effetto della riforma Moratti, il numero di questi ragazzi è immediatamente sceso. L'apprendistato che si cerca di reintrodurre e che deriva dalla legge 30 sul mercato del lavoro, non quantifica inoltre l'obbligo di formazione esterna all'azienda, anzi neppure lo prevede. Iniziando fra l'altro a quindici anni non si salda alla scuola media se non per espulsione da uno dei due rami previsti o con un anno "vuoto". A tutto ciò si passa infine senza nessun esame di Stato. Questi provvedimenti sono giunti in Parlamento fra le critiche dell'Anci e della Conferenza stato-regioni privi della cornice legislativa di fondo (ovvero il decreto sui cicli della scuola secondaria) che solo in bozza è stato pubblicato ieri sul sito del ministero, a conferma di una metodologia che nei fatti continua ad umiliare il Parlamento. Anche per questa ragione i capigruppi delle opposizioni in Commissione cultura hanno richiesto un'audizione urgente al ministro Moratti che si svolgerà nei prossimi giorni. Il decreto è innanzitutto nebuloso e non chiarisce il destino degli istituti professionali e di quelli tecnici accennando a «percorsi» da trasferire alle regioni. Una cosa è certa: siamo alla scissione dei destini sociali che da Gentile in poi, prima Don Milani e poi il Movimento del Sessantotto, con il movimento democratico della scuola che ne è scaturito, erano riusciti a capovolgere facendo prevalere un'idea universalistica del diritto all'istruzione. Qui si propone una netta differenziazione tra il percorso liceale destinato alle future classi dirigenti e quello dei professionali. Altro che pari dignità. Il provvedimento infatti prevede 990 ore annue di attività di formazione ovvero mediamente 30 ore di lezione settimanale. Ma di queste 30 ore solo tre quarti saranno obbligatorie per la frequenza e un altro 25 per cento dovrà essere svolto in contesti di lavoro. Questo per quanto riguarda l'istruzione professionale dove lo studente avrà diritto ad una formazione vera e propria solo per il restante 50 per cento dell'orario, cioè per 15 ore settimanali! Si impone ai ragazzi una scelta precoce e irreversibile fra il sistema dell'istruzione e quello della formazione professionale destinata alla precaria e sfruttata manodopera che questo mercato richiede. Ultimo osceno tassello, la riforma dello stato giuridico della docenza in dirittura di arrivo: un attacco diretto alla libertà di insegnamento, al sistema pubblico di reclutamento (che verrebbe sostituito con la chiamata diretta) e alla rappresentanza sindacale. Ciò conferma uno scenario di destrutturazione non solo dell'attuale sistema pubblico dell'istruzione, ma per questa via dei valori e dei diritti universali che la scuola della Repubblica ha affermato a partire dal dettato costituzionale. La crescita del movimento che è riuscito ad opporsi con forza alla riforma Moratti, è legata alla connessione di tutte le soggettività impegnate contro la destrutturazione del sistema pubblico dell'istruzione dalla scuola materna all'università e alla ricerca, perché ciò che è in gioco è la necessità di sottrarre i saperi e il loro accesso dalla mercificazione e da un progressivo apartheid della conoscenza. Occorre quindi rovesciare la natura e la filosofia delle riforme Moratti proponendo la centralità del sistema pubblico statale dell'istruzione nel processo di una nuova democratica e universale cittadinanza di donne e uomini nativi e migranti. L'attuale quadro legislativo conferma al momento due cose: che la Moratti è disposta ad andare avanti e che le forze dell'opposizione devono assumere la difesa della scuola pubblica (a partire dall'abrogazione della riforma) come elemento centrale di un programma di alternativa. |