Secondo ciclo/1

Verso un faticoso compromesso.

 da TuttoscuolaNews N. 187, 28 febbraio 2005

 

Lentamente ma chiaramente, come segnalato da "Tuttoscuola" nelle scorse settimane, prosegue il processo di riassestamento delle proposte riguardanti il secondo ciclo attorno ad una interpretazione dello spazio da assegnare al "sistema di istruzione" tanto ampia e articolata da farvi rientrare in pratica quasi tutti gli attuali istituti tecnici e professionali.

Indicazioni in questa direzione provengono da esponenti politici di orientamento assai diverso, certamente non sospettabili di connivenze più o meno trasformiste di stampo "milazziano". In un convegno sulla riforma della scuola e dell’istruzione tecnica svoltosi nei giorni scorsi a Udine, per esempio, il sottosegretario Maria Grazia Siliquini (AN) ha detto che "nessuno vuole distruggere gli istituti tecnici, che sono un sistema di eccellenza, con una grande storia", mentre il responsabile scuola e formazione dei DS, Andrea Ranieri, ha scritto in un articolo pubblicato sul "Sole-24 ore" – giornale da sempre schierato per l’inserimento degli istituti tecnici tra i licei – che lo stesso governo è stato costretto a prendere atto della "irriducibilità dell’istruzione tecnica e professionale alla logica del ‘duale’".

Anche l’assessore all’istruzione della Regione Campania Adriana Buffardi (area DS), dopo un incontro degli assessori regionali con il ministro Moratti, svoltosi la scorsa settimana, ha dichiarato che "il punto centrale della riforma della secondaria superiore è il mantenimento della sua struttura unitaria". Caso mai, lasciano intendere gli assessori regionali (anche quelli che fanno riferimento al centro-destra), saranno le stesse Regioni, una volta pienamente attuato il nuovo titolo V della Costituzione, a gestire l’offerta formativa sul territorio in tutte le sue articolazioni, comprese quelle professionalizzanti. Fuori dal nuovo quadro di competenze definito per il settore scolastico dalla predetta riforma, sembra di capire, le Regioni non sarebbero interessate ad acquisire pezzi dell’attuale sistema scolastico.

 

Secondo ciclo/2.

Un dibattito povero di contenuti.

Contabilità dei posti in organico  persi  o  guadagnati,  graduatoria delle ore settimanali per verificare le discipline che conterebbero di più o di meno, difesa di privilegi percepiti o reali  di  particolari categorie   di  docenti,  collocazione  alle  dipendenze  dello  Stato piuttosto   che  delle  Regioni,  aumento  o  contrazione  di  qualche indirizzo    dei  Licei,  pretesa  di  avere  Licei  “prevalentemente” propedeutici all'università pur di poter sottrarre alle  Regioni  gli attuali istituti tecnici e professionali: non  si  può  dire  che  il dibattito sulla bozza di  decreto  relativo  al  secondo  ciclo  abbia finora volato alto.

Pochi hanno tentato, ad esempio, di indagare quale immagine di  futuro e di Paese sia sottesa alle proposte di Indicazioni nazionali avanzate dal Ministero, e se e quanto esse (non) tengano conto di fenomeni come la globalizzazione, la multiculturalità, la  rivoluzione  tecnologica (banalmente ridotta all'uso del computer), le sfide  delle  culture  e delle economie dei Paesi emergenti. Ancora meno commentatori  si  sono soffermati  sull'analisi  e  l'approfondimento  degli  Osa  (obiettivi specifici di apprendimento) presentati dal Ministero.

Sono    passate    quasi   inosservate  scelte  culturali  certamente discutibili: la filosofia che mantiene il tradizionale impianto  e  la cui assenza dai licei tecnologici non  solleva  critiche;  il  mancato confronto con la linguistica testuale e intertestuale  in  italiano  e nelle lingue straniere; il latino, confinato in quattro licei su otto, presentato come l'indice di un vecchio libro di  testo;  l'assenza  di uno sforzo per integrare, senza giustapporle, le  “grammatiche” della lingua italiana, delle lingue straniere, delle lingue  classiche,  dei linguaggi non verbali, dei linguaggi scientifici; l'impostazione molto disciplinaristica,    anzi  tecnicistica,  della  matematica  e  delle scienze. Insomma, un dibattito culturalmente davvero deludente.

 

 Secondo ciclo/3

Dibattito: chi fa che cosa?

Da quasi due mesi è aperto il dibattito sulla riforma del secondo ciclo. Una decisione positiva e apprezzata da tutti. Povero o meno povero, su questioni strategiche o tattiche il dibattito si è svolto in varie sedi. Sono scesi in campo sindacati, associazioni di categoria, partiti, associazioni disciplinari, associazioni professionali, riviste, siti informatici, le regioni, fondazioni. Ma chi fa ordine nelle questioni poste, chi le classifica per temi di consenso e di dissenso, le riassume e le presenta poi a tutti oltre che al Ministro, nella loro problematicità, per le decisioni ultime da prendere?

Berlinguer, quando aprì il dibattito sull’autonomia, dibattito che coinvolse migliaia di persone, nominò una commissione istruttoria proprio a questo scopo e rese pubblici i principali dati del contendere. Non risulta però che il ministro Moratti abbia provveduto in questo senso. Quali sono dunque i punti di consenso e di dissenso emersi dal dibattito rispetto alle ipotesi ministeriali? Quali sono le ipotesi alternative? E perché sono tali? In che senso? Che tipo di conseguenze scaturiscono da una scelta invece dell’altra? Quali responsabilità si assume la politica optando per una soluzione al posto dell’altra? Si sono condotti studi di fattibilità a questo riguardo?

Se il dibattito non è stato strumentale e rituale, non sarebbe bene rendere pubbliche queste informazioni?