La maggior parte degli studenti considera
inutile la laurea di primo livello
e la grande maggioranza continua. Colpa del mondo del lavoro. Ma anche
dei prof
Il flop delle lauree triennali
niente lavoro e si resta all'università.
Simone Ceriotti,
la Repubblica
del 19/12/2005
Traguardo finale o
step intermedio? Secondo le prime indagini sulle prospettive dei
laureati nel nuovo ordinamento, solo una minoranza dice addio ai libri
dopo il titolo triennale. Gran parte degli studenti rimanda così
l'appuntamento con il mondo del lavoro e, con il primo "pezzo di
carta" in tasca, inizia la caccia alla laurea specialistica.
I dati nazionali di Almalaurea relativi al 2004 parlano chiaro: su 47
mila laureandi di primo livello interpellati, oltre il 76 per cento si
è dichiarato intenzionato a proseguire, contro il 54 per cento dei
laureati del vecchio ordinamento. Da un'indagine successiva, è
risultato che il 66 per cento dei "triennalisti" abbia poi puntato
proprio sulla laurea di secondo livello (più che su master o scuole di
specializzazione). L'intenzione di proseguire raggiunge punte del 95
per cento nel gruppo disciplinare psicologico, dove evidentemente la
laurea triennale è vissuta come un passaggio obbligato per arrivare ad
altri obiettivi.
Questo trend, rilevato qualche mese fa, è confermato anche da altre
ricerche di carattere territoriale. Il consorzio interuniversitario
lombardo "Cilea" ha presentato nei giorni scorsi un rapporto su otto
atenei in cui si confrontano le scelte di laureati triennali e di
vecchio ordinamento che hanno concluso gli studi nello stesso periodo
(in questi anni i due modelli universitari si sono trovati a
coesistere). Ciò che emerge chiaramente è la maggiore propensione dei
laureati del nuovo ordinamento a proseguire, in misura doppia rispetto
agli altri.
Grazie alla formula del nuovo ordinamento la percentuale di studenti
che si laurea fuori corso è diminuita. Ma contrariamente a quanto
previsto dagli ideatori della riforma (l'idea di avere giovani dottori
capaci di competere con i colleghi europei), chi si laurea in corso
non si affaccia sul mercato del lavoro. Almalaurea rivela che proprio
gli universitari "regolari", cioè i laureati under 23, sono più
portati a proseguire la formazione con la laurea specialistica.
Succede mediamente nell'85 per cento dei casi, con punte del 92 per
cento tra i laureati del Sud.
Una così alta percentuale di iscritti al biennio successivo alla
laurea triennale rappresenta certamente un'anomalia, almeno rispetto
agli scopi che hanno mosso questo disegno di riforma. Come si spiegano
questi dati? Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, individua tre
motivazioni, partendo dalle difficoltà del mondo del lavoro: "È vero,
c'è una parte persino eccessiva di studenti che chiede di proseguire.
Il problema però non è solo la struttura di questa riforma. Il mondo
del lavoro, in tutti i settori, vive un'oggettiva fase di stagnazione
che rende difficile l'immissione dei laureati. Così si crea una
percezione negativa delle prospettive occupazionali e l'università
diventa un parcheggio. Era così già prima della riforma, ma ora, con
il 3+2, gli atenei sono diventati un parcheggio a due piani. Eppure
sulla carta l'Italia avrebbe un gran bisogno di laureati, visto che
Spagna, Francia e Inghilterra ne sfornano il triplo di noi".
La seconda causa che, secondo il direttore di Almalaurea, sta alla
base del plebiscito a favore del percorso di laurea completo, va
ricercata all'interno degli atenei: "I docenti sono scontenti e non
aiutano gli studenti a compiere una scelta serena. Quante volte i
ragazzi si sentono ripetere, in aula, che la laurea triennale non è
sufficiente, che è un titolo di serie B... Questo atteggiamento è
dovuto soprattutto al nervosismo dei professori, costretti a ripensare
i corsi di studio in tempi rapidissimi. È stato lasciato poco tempo ai
docenti per entrare davvero nello spirito della riforma”.
L'ultima motivazione è squisitamente finanziaria: "Quella del 3+2 -
conclude Cammelli - è una riforma che si può definire 'a finanziamento
zero'. I rettori sono in difficoltà a far marciare il nuovo
ordinamento, perché nel bilancio di un ateneo sono importanti anche
gli introiti derivanti dalle (più costose) lauree di secondo livello.
Attualmente un ateneo non vuole rischiare di perdere gli studenti dopo
tre anni. Alla luce di tutto questo, mi domando da dove possano
provenire gli stimoli per convincere un ragazzo a fermarsi alla
triennale".