Sergio Polese, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri:
"Le aziende sono in difficoltà perché non sanno come impiegare i laureati triennali"

"Buone le intenzioni della riforma

ma troppi ragazzi sono disorientati".

Simone Ceriotti, la Repubblica del 19/12/2005

 

Sergio Polese, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri "Non siamo prevenuti, ma questo sistema non va bene, perché non si basa sulle esigenze delle imprese". A margine dei dati sull'alta propensione dei ragazzi a proseguire gli studi dopo la laurea triennale, rispunta una polemica da parte del mondo delle professioni. Sergio Polese, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, non usa mezzi termini per far capire che la riforma universitaria del 3+2 è a suo avviso inadeguata, soprattutto se applicata alle facoltà - come quelle di ingegneria - che prima richiedevano un piano di studio di cinque anni.

A questo proposito, i dati Almalaurea sui laureati 2004 parlano chiaro: degli 8.936 ingegneri del vecchio ordinamento interpellati, solo il 29,3 per cento ha manifestato l'intenzione di proseguire gli studi oltre i cinque anni già investiti. Tra i 6.486 laureati con la triennale, invece, l'80,8 per cento ha dichiarato di voler continuare e (secondo un'altra indagine su un campione più ridotto) il 78 per cento si è effettivamente iscritto a una laurea specialistica di secondo livello.

Il presidente dell'Ordine degli ingegneri parte proprio da questi numeri per spiegare il suo punto di vista sulla riforma: "L'ipotesi di partenza del legislatore - spiega Polese - era creare figure professionali diverse da quelle esistenti. Un concetto condivisibile nelle intenzioni. Però sarebbe stato corretto dire quali mansioni possono svolgere i laureati della triennale. Invece, la riforma ha disciplinato le attività in maniera non chiara, facendo riferimento a non meglio specificate attività semplici". Da qui la difficoltà delle aziende, che - secondo il presidente - non sanno come impiegare i laureati triennali: "Da quello che sappiamo, dopo una prima fase con buoni segnali, le assunzioni dei cosiddetti 'ingegneri-junior' stanno calando e aumenta, di conseguenza, la percentuale dei giovani che continuano gli studi per ottenere un diploma equivalente al vecchio titolo".

Secondo l'indagine su otto atenei firmata dal Cilea, invece, la risoluzione del problema dipende anche dalle imprese: "I dati del settore di ingegneria dimostrano che per il laureato triennale non è facile l'inserimento nel mondo del lavoro, anche perché questa figura non è sempre compresa e adeguatamente utilizzata dalle aziende, e che anche coloro che hanno trovato un'occupazione non sono soddisfatti del livello raggiunto. I giovani laureati indicano comunque l'esigenza di rimodulare i programmi di studio".

Gli ingegneri non sono gli unici a trovarsi disorientati al termine dei tre anni. Polese affronta anche un discorso più generico: "Il problema riguarda anche le altre professioni. Si è detto che sarebbero state utili al mercato del lavoro figure professionali che hanno studiato un po' meno, ma non si è detto per che cosa. Io sono abituato a ragionare in termini di progetti: non posso approvare un piano di lavoro se non è chiaro l'obiettivo che esso vuole perseguire. Allo stesso modo non capisco perché si è cercato di proporre nuove figure professionali senza dire che cosa saranno realmente in grado di fare".

Il cuore del problema starebbe nella struttura dei nuovi corsi: "Non mi convince l'idea della formazione in serie, che di fatto rende la triennale un pezzo del percorso del 3+2. Ci vuole un percorso differenziato, per fare in modo che il laureato di tre anni abbia delle specificità diverse da chi porta a termine tutto il ciclo. In questo senso, mi sembra buona l'idea di un primo anno comune a tutti, prima di una scelta definitiva: altri due o altri quattro anni, con materie e programmi differenti". L'altra strada, più radicale, è quella delle facoltà mediche, dove il corso di laurea specialistica è a ciclo unico, mentre le triennali (che corrispondono ai vecchi diplomi) sono altamente professionalizzanti. E il "prodotto", ovviamente, è diverso.