Gli studenti stranieri puntano sulla laurea e battono gli italiani. Raffaele Simone, Il Messaggero del 18/12/2005
NEL clima di affanno e di leggera follia mediatica che grava da tempo sulla nostra testa, non pare che siano in molti a preoccuparsi del futuro dell’intelligenza del paese, cioè della capacità degli italiani di fare lavori complessi e avanzati e di inventare cose nuove e importanti, per il bene proprio e della collettività. Una ricerca diffusa qualche settimana fa dall’Unla ha raccontato senza pietà che si son fatte deboli addirittura le fondamenta dell’edificio: da noi gli analfabeti sarebbero più del venti per cento della popolazione! Avete letto bene: è una cifra pazzesca, unica nel mondo civile, che basterebbe a procurare notti in bianco a non finire non solo al ministro dell’Istruzione, ma a mezzo governo.
Su questi temi sono oggi disponibili altri dati,
che confermano che il trend della cultura degli italiani non è per
niente promettente. Stavolta però il termine di confronto non è dato
da altri paesi europei ma dagli stranieri tra noi, cioè gli immigrati
regolari. Tra i nostri connazionali, infatti, solo il trenta per cento della popolazione ha la licenza media e solo il venticinque un titolo di scuola superiore. Circa ventidue milioni e mezzo di persone non hanno alcun titolo o la sola licenza elementare. Quanto alla laurea, ce l’ha il nove per cento degli stranieri regolari contro il 6,4 degli italiani. Le donne sono le più istruite: il 30,2 per cento ha un diploma di scuola secondaria superiore e il 13,3 la laurea (nelle italiane, questi dati diventano il 25,3 per cento e il 10,9 per cento rispettivamente). Questa raffica di cifre ha un solo significato: gli stranieri regolari non solo sono sempre più istruiti ma lo sono in proporzione più elevata degli italiani e migliorano con una dinamica più veloce. Ne avete abbastanza? Non è finita. Il Cnel ha promosso un’altra ricerca (“Adolescenti stranieri e mondo del lavoro”) sulle aspirazioni dei ragazzi immigrati da 53 paesi non comunitari. Anche qui il confronto è amaro e contundente. Da noi le immatricolazioni universitarie tendono da anni a scendere, soprattutto nelle facoltà scientifiche, e non bastano sconti di tasse e altre facilitazioni per aumentarle. Più che da professioni ad alto valore intellettuale aggiunto, i giovani sembrano attratti dai modelli di consumo e mediatici: siamo i primi in Europa nel consumo di telefonini, oltreché nell’acquisto di Smart; siamo invece tra gli ultimi al mondo (secondo la ricerca Pisa, che ho commentato tempo fa) nella comprensione della lettura e nelle abilità matematiche. I giovani immigrati intendono per il 48 per cento andare all’università e per il 32 cercarsi un lavoro. Secondo più della metà di quelli che frequentano il liceo il titolo di studio è essenziale per trovare lavoro, e quasi per nessuno il mondo dello spettacolo è una prospettiva attraente. Molti (il 34,8 per cento) aspirano a un lavoro creativo che metta a prova la loro intelligenza (46,7%) e saranno favoriti in ciò dal fatto che conoscono bene l’italiano e spesso anche altre lingue. Lo sfondo di queste aspirazioni è il desiderio di ripagare i genitori per gli sforzi che hanno patito: un ideale che appare remoto e démodé in un paese come il nostro, in cui il governo dei genitori sui figli è dappertutto in calo, e l’ambizione principale dei giovani sembra quella di arrivare alla svelta a spendere soldi senza chiedere permesso. Ce n’è di che riflettere sotto Natale. Di questo passo, infatti, non solo il livello culturale ma anche i “valori positivi” del paese saranno sempre più nelle mani degli immigrati, visto che gli italiani hanno (a quanto pare) altri pensieri per la testa che quello di istruirsi. |