GLI ERRORI DEL GOVERNO SU SCUOLA UNIVERSITÀ E RICERCA. Interrotto il percorso di riforme avviato negli anni passati. Sistema danneggiato da Improvvisazione e chiusura.
di Daniela Silvestri da Il Campanile del 22/4/2005
Gli errori del governo Berlusconi su Scuola Università e Ricerca sono sostanziali. Oggi, sempre più larga parte dell’opinione pubblica ne sembra consapevole. Nella tradizione italiana ed europea, Scuola, Università, Ricerca fondamentale e applicata sono (e sono percepite come) fattori decisivi di crescita civile, culturale e sociale e di sviluppo economico. Nell’Italia repubblicana, il sistema pubblico dell’istruzione, pur con tutte le sue difficoltà, ha cambiato nel profondo l’intera vita nazionale e conosciuto un lungo periodo di espansione finalizzata a: - rafforzare lingua e cultura nazionale, radicando tradizioni (valori e saperi) nella comunità nazionale e, insieme, aprendola al confronto con culture e tradizioni diverse, nella prospettiva della integrazione tra realtà locale, nazionale ed europea; - stabilizzare e accrescere la coesione sociale e le pari opportunità per tutti e per ciascuno, consentendo alle cittadine e ai cittadini effettive libertà di scelta, crescita personale e piena mobilità nella vita produttiva e sociale; - liberare le energie intellettuali necessarie a possedere e ad accrescere le forme antiche e nuove del sapere, sia umanistico ed artistico sia scientifico e tecnologico, per collaborare allo sviluppo della cultura e della ricerca europea e mondiale e per mantenere il passo con le forme più alte e qualificate di competizione internazionale. Su questa linea valoriale avevano operato le riforme della Scuola e dell’Università tra il 1997 e il 2001, impegnando energie politiche e intellettuali in progetti di rinnovamento e potenziamento dell’istruzione e della ricerca fondamentale e applicata, riconoscendo più forte autonomia all’Università e alla Scuola come primo significativo riconoscimento del lavoro e delle potenzialità di scuole e università. Anche se ancora insufficienti rispetto alle necessità e al confronto con la realtà internazionale ed europea, gli investimenti in programma impegnavano quote consistenti del prodotto interno lordo, per consentire all'università l’espansione in quantità, articolazioni e sedi, richiesta dalla imponente riforma europea del 3+2 (proposta dal Ministro italiano dell’istruzione nel 1998 e oggi adottata da 32 paesi europei); per consentire punte di eccellenza mondiale nella scuola dell'infanzia, in via di generalizzarsi a tutta la popolazione infantile, per consentire il prolungamento dell’obbligo scolastico (fino a sedici anni) nella scuola superiore e dell’obbligo formativo fino ai 18 anni, con una seria integrazione tra cultura fondamentale e abilità operative e del lavoro. Il cammino avviatosi, nella seconda parte dello scorso quinquennio, andava continuato e perfezionato nella sua logica di rafforzare il sistema dell’istruzione e della ricerca come bene pubblico e come pubblica responsabilità, pianificando la progressiva eliminazione delle imponenti sacche di mancata e di bassa scolarità nel nostro Paese, fornendo gli strumenti per vivere e operare meglio, innalzare l’istruzione per tutti, ed il particolare come chiede all’Italia la Convenzione di Lisbona, riuscire a far diplomare più giovani, elevando al contempo le competenze linguistiche, matematiche e scientifiche. Il governo Berlusconi non solo ha interrotto questo cammino, mettendo mano a leggi controriformistiche che minacciano o negano l’autonomia degli enti di ricerca e delle scuole, indeboliscono il profilo istituzionale dell’istruzione, protetto dalla Costituzione, con la messa in ombra dell’autonomia, il ritorno del dirigismo ministeriale, la improvvisazione di una devoluzione che ridisegna architetture costituzionali e contenuti culturali senza alcun confronto nel Parlamento e nel Paese, con atteggiamenti di chiusura persino all’interno della propria maggioranza di riferimento. Oggi, gli italiani cominciano a vedere, nella loro drammaticità, i pericoli che, anche attraverso l’aggressione a scuole, università e ricerca, corre la vita civile e democratica dell’Italia. Si afferma, infatti, con chiarezza il giudizio dell’opinione pubblica sulla cosiddetta riforma Moratti che sostituisce l’obbligo scolastico con un indeterminato diritto-dovere, che canalizza precocemente i preadolescenti (fin dai tredici anni di età) riducendo l’attuale obbligo d’istruzione, che consegna al Paese una scuola più povera, diminuendo le possibilità di contrastare l’insuccesso formativo delle bambine e dei bambini svantaggiati per condizioni sociali, culturali, territoriali ed economiche, che mira a destrutturare la scuola pubblica e tende ad abbassare il livello medio di istruzione in contrasto con i diritti fondamentali dei cittadini e con le esigenze di sviluppo del Paese. E’ evidente all’opinione pubblica l’arroganza con cui viene sostenuta la visione mercantile della conoscenza, l’approccio privatistico al bene pubblico dell’istruzione, la separazione del sistema tra istruzione e formazione, il dissolvimento dell’obbligo, la precocità delle scelte che registrano e accrescono la differenziazione sociale a cui si aggiungono le differenze territoriali. Comincia a diffondersi l’idea che l’Italia non è in condizione di rinunziare al carattere nazionale dell’istruzione, che i giovani vanno portati a sviluppare al massimo le loro potenzialità e comunque a soddisfare almeno l’obbligo dell'istruzione e per i meno giovani è necessario garantire strumenti ed opportunità di formazione lungo tutto l’arco della vita. Comincia a diffondersi l’idea che una forte istruzione di base è fattore strategico di crescita del Paese, ed è in rapporto diretto con le competenze che rendono possibile l’occupazione proficua, per sé e per gli altri, nel mondo del lavoro e delle professioni. Cultura e professionalità di base inadeguate sono invece destinate a peggiorare le difficoltà dei giovani italiani, facilitando precarietà del lavoro e giungla contrattuale. Tant’è, specie nell’attuale situazione internazionale. Altro che modernità ed efficienza. Ma si sa, il governo Berlusconi ha fatto, e continua a fare, della bugia e della calunnia un capolavoro mediatico. Mentre si enfatizza la famiglia si diminuisce l’impegno pubblico sui servizi per l’infanzia, sia in riferimento alla fascia di età 3 mesi-6 anni, sia in riferimento alle strutture scolastiche di tempo pieno e prolungato nelle elementari e nelle medie. Mentre si enfatizza la cosiddetta riforma Moratti e la competitività internazionale, si svilisce lo status giuridico dei ricercatori universitari, si impedisce l’accesso ai ruoli dei vincitori di concorso, si riducono gli organici dei docenti nelle scuole di ogni ordine e grado, si perpetua la precarizzazione, si dimezzano le ore di lingua inglese nella scuola media, ci si appresta a ridurle nelle superiori e ad escludere gli insegnanti specialisti nelle elementari, si bloccano i finanziamenti per l’informatica, si tenta di mettere sotto controllo politico i libri di testo, si propone di eliminare la teoria dell’evoluzione dai programmi scolastici, la musica dal liceo delle scienze umane, l’educazione fisica dal curricolo fondamentale , si tagliano i fondi per l’edilizia scolastica, per l’autonomia delle scuole, si dismette la ricerca di base e si attenta all’autonomia dell’Università. Tutto questo criminalizzando l’opposizione, in dispregio alla verità. Per anni, il capolavoro mediatico ha retto. La realtà virtuale ha avuto il sopravvento sulla realtà delle cose e dei fatti. Oggi il risveglio degli italiani. |