Tramonta l'ora di religione?
di Dedalus, da
ScuolaOggi dell'11/8/2005
testo
“Tramonta l’ora di religione”.
Così, in maniera perentoria (in questo caso senza punto di
domanda), titola un articolo di prima pagina sulla Repubblica di
giovedì 11 agosto. Sottotitolo:
“Triplicati i casi di studenti che rinunciano”.
Nelle pagine interne, dedicate a “Scuola e Chiesa”, Repubblica
riporta i dati che emergerebbero dalle “Rilevazioni integrative”
effettuate ogni anno dal Ministero dell’istruzione. Secondo questi
dati nell’ultimo anno scolastico un alunno su tre alle scuole
superiori “non si avvale” dell’ora di religione (dal 2001 ad oggi si è
passati dall’11,7 al 37,6%). I numeri sono più contenuti negli altri
ordini di scuola, con percentuali del 9,7% nella scuola dell’infanzia,
del 6,1% alle elementari, del 11,2 % alle medie.
Un analisi più dettagliata dei dati, come rileva sempre su Repubblica
mons. Rino Fisichella, rettore della Pontificia università lateranense
nonché stretto collaboratore del presidente della CEI card. Ruini, fa
emergere un’Italia a macchia di leopardo, ove il numero dei “non
avvalentisi” riguarderebbe non i piccoli centri ma soprattutto alcune
grandi città, e non tutte (Milano, Bologna, Firenze ad es. ma non
Roma). Il fenomeno riguarderebbe dunque in prevalenza alcuni grandi
centri che contribuirebbero in maniera determinante ad alzare la media
nazionale.
Ma la situazione, secondo mons. Fisichella, non sarebbe allarmante.
Anzi, il prelato si dice preoccupato soprattutto del fatto che
“chi rifiuta l’insegnamento della religione e
della cultura cristiana rinuncia ad una risorsa nella sua formazione
culturale”.
Quali sono le cause di questo “rifiuto” comunque in crescita generale,
secondo Repubblica? “Voglia di laicità,
aumento degli alunni stranieri – e nostrani – seguaci di altre
confessioni, o disinteresse per la religione a scuola: cosa determina
la fuga dalle classi?”.
Probabilmente un mix di cause – è la risposta - dovuto alla
concorrenza di più elementi.
Queste analisi e queste considerazioni fanno inevitabilmente tornare a
galla quello che secondo noi è il vero problema, al di là delle
opinioni unilaterali e un tantino clerical-fondamentaliste di mons.
Fisichella. Vale a dire non tanto l’esercizio della facoltà di
avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica. E quindi
il numero in aumento o meno di chi sceglie di non avvalersi dell’IRC.
Ma piuttosto la questione della “non obbligatorietà” dell’insegnamento
di una dottrina o di una confessione religiosa (qualunque essa sia)
all’interno della scuola pubblica di Stato. Ovvero: la collocazione
dell’ora di religione nell’orario scolastico.
Noi continuiamo ad avere seri dubbi sulla costituzionalità
dell’insegnamento della religione cattolica – per quanto la cultura
cristiana sia radicata nel nostro paese - nella scuola di Stato. Ci
sembra che questo sia in contrasto con i principi di laicità e
aconfessionalità dello Stato. Almeno del nostro, così com’è delineato
nei suoi princìpi fondamentali dalla Costituzione della Repubblica.
A questo si obietta che non ci sarebbe “obbligo” ma piuttosto
“facoltatività” (chi non vuole può infatti “non avvalersi” dell’I.R.C.).
Ma il problema ritorna nel momento in cui si collocano le ore di
religione all’interno dell’orario
scolastico di base, dell’orario obbligatorio di frequenza.
In attesa di una revisione di questa complessa materia (ma ne sarà in
grado l’Ulivo o la considererà di scarso rilievo politico oppure
troppo delicata per i rapporti con il Vaticano?) una soluzione, come
abbiamo già rilevato in altre occasioni, ci sarebbe.
Chiariamo che non stiamo parlando qui della dimensione della “cultura
religiosa” - “materia che proposta in
termini di aconfessionalità dovrebbe essere resa obbligatoria”
- come ha scritto qualche tempo fa proprio su Scuolaoggi , Ernesto
Borghi, presidente dell'Associazione Biblica della Svizzera Italiana e
docente di esegesi biblica alla Pontificia Università Salesiana di
Torino (*).
Stiamo parlando piuttosto dell’insegnamento di
una confessione religiosa,
la religione cattolica, per quanto storicamente radicata nel nostro
paese.
Continuiamo a ritenere infatti che il nodo che deve essere sciolto
riguarda proprio la “facoltatività”
dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola di Stato. Se
si vogliono veramente fugare tutti i dubbi a proposito, la soluzione è
molto semplice e a portata di mano.
La nuova Riforma della scuola primaria distingue tra insegnamenti
“obbligatori” (il nocciolo duro delle 27 ore) e insegnamenti
“facoltativi” e “opzionali” per le famiglie (le tre ore aggiuntive).
Al tempo stesso include fra gli insegnamenti obbligatori
l’Insegnamento (facoltativo..!) della Religione Cattolica. Questa è la
contraddizione che deve essere risolta. Non altro. Basta collocare l’IRC
fra le attività opzionali e facoltative per ridare ai nomi e alle cose
la giusta corrispondenza.
L’insegnamento della religione cattolica secondo i dettami della CEI e
di santa madre Chiesa in orario facoltativo e magari (perché no?) una
materia di “cultura religiosa” o la conoscenza di aspetti e storia
delle religioni, come vorrebbe Borghi, in orario obbligatorio. Per
rimettere le cose a posto. Altrimenti, lo ripetiamo, è solo fumo e
odore d’incenso.
(*)
vedi: “A proposito dell’insegnamento della religione”, risposta a
Dedalus, di Ernesto Borghi, presidente dell'Associazione Biblica della
Svizzera Italiana e docente di esegesi biblica alla Pontificia
Università Salesiana di Torino (digitare: “Ernesto Borghi” in “Cerca
in Scuolaoggi….”)