Autonomia delle scuole/2.

Il Garante svuota il Portfolio.

da Tuttoscuola del 21/8/2005

 

Con un blitz ferragostano il Garante per la Privacy, ha reso noto che "ritiene necessario prescrivere (sic) a tutti gli istituti scolastici di adottare alcune misure volte a favorire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini, nonché della loro dignità, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità ed alla protezione dei dati personali (art. 2, comma 1, del Codice), considerata la quantità, la varietà e la delicatezza delle informazioni che possono essere inserite nel Portfolio e l’ingente numero dei minori e familiari interessati".

Di quali "
misure" si tratta? Nella pronuncia ufficiale del garante, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 agosto 2005, viene formulata in buona sostanza una serie di divieti, rivolti in particolare ai docenti, la cui azione didattica non deve in alcun modo essere rivolta "all’individuazione del profilo psicologico degli alunni o alla raccolta di informazioni sul loro ambiente sociale e culturale di provenienza". Non sarà più possibile dunque far svolgere agli allievi i classici temi sulla loro famiglia, sulle amicizie, sui sentimenti, sulle aspettative per il loro futuro? E nemmeno parlare e far parlare di questi argomenti in classe? Non è tutto questo in contraddizione con l’obiettivo principe della riforma Moratti (obiettivo condiviso peraltro a livello internazionale) di una maggiore personalizzazione dell’apprendimento e dell’insegnamento?

La filosofia cui si ispira la pronuncia del Garante, per la verità, suscita qualche preoccupazione perché rischia di limitare notevolmente l’autonomia didattica delle scuole e la concreta libertà di insegnamento del docente in nome di astratti principi di salvaguardia della privacy dell’allievo. Vietare, limitare, nascondere, (auto)censurare e così via sottintendono una concezione del rapporto educativo arcigna, chiusa, sospettosa, inevitabilmente spostata su un ruolo pressoché esclusivo della dimensione cognitiva. Tutto il contrario di quell’educazione alla convivenza civile, di cui parla la legge n. 53, e che dovrebbe essere fondata sulla trasparenza, sulla fiducia in sé e negli altri, sulla conoscenza e l’accettazione delle diversità individuali, sociali e culturali, e non sul loro occultamento.