LA STORIA

Una vita da supplente

la precaria va in pensione.

di Salvo Intravaia da la Repubblica del 23/8/2005

 

Una vita da precario», verrebbe da dire parafrasando una famosa canzone di Ligabue. Nella scuola si può andare in pensione anche da supplente, senza aver mai fatto - in trenta e passa anni di carriera - un solo giorno da titolare di cattedra. Fino a qualche anno fa, sembrava una leggenda metropolitana. La storia dell’insegnante che va in pensione da precaria, invece, ha un nome e un cognome: Anna Maria Conte, 59 anni che ieri mattina ha accettato il suo ultimo incarico. A tempo determinato ovviamente. Il prossimo anno andrà in pensione e dirà addio ad una cattedra che, in fondo in fondo, non è mai stata davvero sua. Dopo avere scelto la sede (l’istituto comprensivo Guttuso di Palermo), era felice: «Finalmente. È l’ultima volta che scelgo la sede». Erano quasi le undici e lei, come tutti gli altri, aspettava ormai da ore la nomina. Come ogni anno dall’ormai lontano anno scolastico 1969-70. Quella volta Anna Maria accettò la sua prima supplenza: Educazione artistica alla scuola media. Era giovanissima. Aveva 24 anni e non avrebbe «mai creduto che sarebbe andata a finire così». Si era laureata a Magistero e aveva tante aspettative. «Insegno da sempre - dice - a 16 anni impartivo già lezioni private ad alcuni ragazzini della scuola media». Due anni dopo, nell’autunno del ‘71, arriva la grande occasione: gli offrono la nomina in ruolo.

Ma è costretta a rinunciare perché aveva da poco partorito due gemelle e la sede, la scuola media di Prizzi, era troppo lontana. Ma, soprattutto, la morte di un figlio di quasi un anno l’aveva letteralmente distrutta. Credeva che ci sarebbero state altre occasioni. Nell’attesa Anna Maria riprese a fare la supplente: Misilmeri, Isnello, Pollina, San Mauro Castelverde, Belmonte Mezzagno, Villabate, Ficarazzi e dopo alcuni anni, finalmente, Palermo. Nel 1984 supera il concorso a cattedra. Sembra fatta, ma è un’illusione. Quando viene bandito il concorso successivo, nell’87, le graduatorie dei precedenti concorsi vengono azzerate e occorre ricominciare daccapo. Non serve a nulla neppure scrivere una lettera di protesta all’allora ministro della Pubblica istruzione Rosa Russo Jervolino. Anna Maria, a 55 anni, si iscrive alla «Sissis» e si specializza. È «da sempre» nelle graduatorie dei precari, da dove vengono reclutati metà degli immessi in ruolo. Ma, nonostante ogni anno venga nominata, la sua posizione peggiora. «Questo meccanismo non l’ho mai capito. Il mio punteggio aumentava, ma in graduatoria scendevo di qualche posto. Ho sempre avuto dei dubbi». Trentasei anni di precariato - quando devi tirare avanti la famiglia da sola - non sono una passeggiata di salute. «La precarietà del supplente è terribile. C’era sempre la paura di non potere mettere un piatto in tavola». Già, perché Anna Maria, per trent’anni ha ricevuto incarichi fino al 30 giugno. Luglio, agosto e parte di settembre occorreva stringere la cinghia. «Mi sono sempre affidata alla provvidenza divina», dice. E racconta: «Tre anni fa, per la prima volta, ho preso un incarico fino al 31 agosto. Ero così emozionata che, uscita dal provveditorato, mi sono dovuta sedere, e ho pianto per la gioia». Cinque anni fa, arriva il governo Berlusconi. Tagli agli organici, riforma Moratti e assunzioni col contagocce. «Nel 2001 ho perso le speranze e ho cominciato a pensare che sarei andata in pensione da precaria». Si congederà dalla scuola per raggiunti limiti d’età. Senza avere avuto la possibilità di riscattare gli anni di servizio prestati alle dipendenze dello stato (la cosiddetta ricostruzione di carriera) la sua pensione sarà di 600 euro, o giù di lì.