Chi ha paura di Darwin?

La Chiesa si divide

Un gesuita vaticano contro Schönborn: il Papa accettò quelle teorie

da Il Corriere della Sera del 6 agosto 2005

 

LONDRA - Adesso, dovrà parlare il Papa. Perché se questo non è un anatema, poco ci manca: riconoscendo all’Universo una sola origine e una sola guida, la creazione divina e non l’evoluzione di Darwin, il cardinale Christoph Schönborn «ha intorbidato le acque già torbide del rapporto fra la Chiesa e la scienza», ha respinto un dialogo fecondo, si è arreso alla «paura infondata» che seguire la migliore ricerca scientifica significhi «abbandonare Dio». E così facendo, se anche è un ex-allievo e un vecchio amico di Benedetto XVI, calpesta il suo pensiero. Come quello di Giovanni Paolo II. Peggio: l’attuale arcivescovo di Vienna sembra ricadere nei «miti, errori ed equivoci» già visti a Roma al tempo di Galileo. Il verdetto è firmato da padre George Coyne , scienziato e gesuita americano ma soprattutto direttore dell’Osservatorio astronomico del Vaticano: cioè uno dei portavoce dell’ala «razionalista» del pensiero cattolico contemporaneo. Il pulpito da cui parla è altrettanto autorevole del suo nome: la prima testata dei cattolici inglesi, The tablet , articolo di fondo pubblicato ieri. Un articolo che certo ha avuto il «nulla osta» dalla Compagnia di Gesù. E che, in un sol colpo, ha reso pubblico il conflitto ormai dirompente ai vertici della Chiesa: Darwin o la Bibbia? Creazionismo o evoluzione delle specie? Il soffio rovente della Genesi o le catene inanimate dei geni? Adamo che riceve corpo e anima dall’Onnipotente, a sua immagine e somiglianza, o che eredita recettori e neuroni da una famiglia di scimmie? O magari l’una e l’altra cosa - un’iniziale spinta divina poi «integrata» dalle leggi della biochimica e della fisica - come vorrebbe la scuola americana dell’intelligent design?

«L’evoluzione nel senso di una comune eredità può essere vera - questo il giudizio di Schönborn, pubblicato il 7 luglio sul New York Times - ma quella nel senso darwiniano - un processo non pianificato e non guidato di variazioni casuali e di selezione naturale - non lo è».

Resta la domanda di fondo: se Schönborn interpreti, come molti credono, oppure no, il pensiero di papa Ratzinger. Il dibattito non è solo accademico, ma anche politico: i «cristiani rinati» degli Usa ne hanno fatto un cavallo di battaglia, e proprio l’altro ieri George W. Bush è tornato a caldeggiare l’insegnamento dell’intelligent design nelle scuole americane, accanto alla teoria darwiniana. Ma quando è la stesso Papa a sentirsi chiedere una risposta, allora si sfiorano i dogmi, le parole scritte nei millenni.

Perché padre Coyne fa esattamente questo: chiama in causa il magistero pontificio. Schönborn, dice, archivia «come alquanto vaga e non importante», la «dichiarazione epocale» fatta da Giovanni Paolo II nel 1996: ma papa Wojtyla decretò che «l’evoluzione non è più una semplice ipotesi»: e da qui trasse, «lungi da ogni pensiero di incompatibilità, delle implicazioni ragionevoli per la fede». Non solo: Schönborn rende oggi vano «un ulteriore tentativo di attenuare le divisioni fra scienza e Chiesa» fatto proprio dal suo maestro di un tempo, Joseph Ratzinger: «quando la Commissione teologica internazionale, sotto la sua presidenza, e meno di un anno prima che egli venisse eletto al soglio pontificio» dichiarò «di non notare alcuna incompatibilità fra il piano provvidenziale di Dio per la creazione, e le conseguenze di un reale processo evoluzionistico nella natura».

La posizione del cardinale, dice ancora Coyne, nasce dalla «paura incombente» che un universo regolato dall’evoluzione «sfugga al dominio di Dio». Ma è una paura «infondata». Infatti, la scienza sa che nell’universo «agiscono tre processi: il caso, la necessità, la fertilità dello stesso universo». E «non è più valida» la domanda classica se l’uomo «sia apparso per caso, e dunque non abbia alcun bisogno di Dio, o per necessità, dall’azione di un Dio creatore». Ogni tentativo di risposta «è destinato a fallire»: perché «la fertilità dell’universo, ben definita dalla scienza, è un ingrediente essenziale, e il significato del caso e della necessità va visto alla luce di questa fertilità»; caso e necessità «interagiscono continuamente fra loro».

Così accade, ad esempio, nella combinazione degli atomi di idrogeno. Ma Dio?

Dio non è l’universo e l’universo non dipende da lui, conclude Coyne. I credenti non devono più credere a «un Dio dittatore, designer ...»: forse dovremmo considerarlo «più come un genitore, o qualcuno che ci dica parole incoraggianti». Così la rivelazione biblica di Dio si rifletterebbe nella nostra conoscenza dell’universo: e «come Galileo amava dire, il Libro delle Scritture e il Libro della Natura parlerebbero dello stesso Dio».

Il Libro della Natura sì, ribatte il cardinale Schönborn, ma non quello di Darwin. E forse, è proprio ciò su cui papa Benedetto XVI dovrà dire adesso l’ultima parola.