I dati del ministero dell'istruzione:
entro dieci anni 245 mila posti in meno causa pensionamento.
Scuola, insegnanti verso l'estinzione.
Dal 1995 docenti di ruolo giù del 2%, supplenti
raddoppiati
di Alessandra Ricciardi, da
ItaliaOggi del
19/8/2005
Insegnanti, categoria in via di estinzione. Per
la felicità dello stato, che paga ogni anno, per i soli stipendi,
quasi 36 miliardi di euro, l'equivalente di una manovra finanziaria.
Negli ultimi dieci anni i docenti con contratto a tempo indeterminato
sono passati da circa 770 mila a 698 mila e nei prossimi dieci anni la
stima è che ben 245 mila di questi potrebbero lasciare il posto di
lavoro causa pensionamento.
Con la concreta possibilità di essere sostituiti solo in minima parte,
viste le strette inferte da tempo sulla spesa pubblica e in
particolare sul personale dipendente. E visto l'obiettivo che i vari
ministri dell'istruzione si sono prefissati negli ultimi anni di
riportare il rapporto docenti/alunni alla medie europee. Insomma, la
scuola serbatoio di posti fissi sarà solo un mito.
Tant'è che, a fronte di 107 mila docenti con contratti di
sostituzione, le cifre sono certificate dal ministero dell'istruzione,
il governo ha autorizzato quest'anno l'immissione in ruolo di 35 mila
nuovi insegnanti. Il taglio ai posti fissi parte da lontano: dal 1995,
quando la consistenza dei docenti di ruolo è cominciata a scemare.
Posti fissi e supplenze. Secondo i dati del dicastero di viale
Trastevere, raccolti nel volume La scuola in cifre, il numero
complessivo dei docenti in servizio, a tempo indeterminato e
determinato, dal 1995 al 2005 si è contratto complessivamente del 2%.
Una riduzione che può sembrare di poco conto, ma che cela un dato
molto più consistente: gli insegnanti di ruolo infatti hanno subito un
taglio quasi del 10%, a fronte dei supplenti che sono saliti da 53
mila a 107 mila, arrivando a costituire oltre il 13% del corpo
docente. Il boom di contrazione dei posti fissi è particolarmente
marcato nella scuola media, con oltre il 21% di cattedre in meno.
Il rapporto con gli studenti. Ancora troppe, comunque, le cattedre,
giacché il numero di studenti per insegnante è passato solo da 10/1 a
11/1. Lontane le medie europee: l'Italia resta ancora oggi il paese
con il rapporto più basso. Il Regno Unito, per esempio, ha un
insegnante ogni 20 alunni, 16 ne conta la Germania, 14 la Finlandia e
la Francia.
La fuga verso la pensione. La svolta potrebbe giungere con i
pensionamenti e il relativo blocco del turnover: nel 2004/05 i
pensionamenti hanno riguardato 16 mila insegnanti, un dato destinato
però a crescere vista l'età media di 48 anni dei docenti in servizio.
Senza considerare gli effetti della riforma delle pensioni approvata
nel 2004, che potrebbe portare, stima il ministero guidato da Letizia
Moratti, ´a un'accelerazione delle uscite negli anni precedenti la sua
entrata in vigore'. I calcoli fatti dall'istruzione parlano di un
incremento delle cessazioni di 2 mila unità l'anno, fino ad arrivare
nell'anno 2014 a 34 mila uscite. Complessivamente nei prossimi dieci
anni potrebbero lasciare la scuola circa 245 mila insegnanti, di cui
l'8,6% della scuola dell'infanzia e il 30% rispettivamente delle medie
e delle superiori. Un'occasione per alleggerire il peso della spesa
per il personale scolastico sul bilancio dello stato.
Quanto costano gli stipendi. La spesa per l'istruzione scolastica in
dieci anni si è ridotta in rapporto al prodotto interno lordo,
passando dal 4,2% al 3,9% del pil, ma, se si considerano le cifre, il
finanziamento è cresciuto: da quasi 36 a più di 50 miliardi di euro.
Di questi, ben 41 miliardi fanno capo allo stato, che ne spende
l'89,6% per pagare gli stipendi: quasi 36 miliardi di euro, ossia più
di una manovra finanziaria ogni anno.
Pochi investimenti al Sud. Ancora basso il contributo di regioni ed
enti locali: i comuni concorrono alla spesa generale per 7 miliardi di
euro (il 14,5%), le regioni per 1,7 miliardi euro (il 3,5%). In
generale, sono sempre il Sud e le isole a investire meno in
istruzione. Le ultime posizioni sono detenute infatti da Puglia,
Calabria e Sicilia. A investire di più Emilia Romagna, Lombardia e
Piemonte, seguiti da Lazio e Friuli-Venezia Giulia