CASO

Prof di religione:

doppio binario per entrare in graduatoria.

di Fabio Amato, da l'Unità del 28/8/2005

 

I docenti di religione che hanno ottenuto l’immissione in ruolo potranno cambiare materia se andranno in esubero, a patto di possedere le abilitazioni necessarie. L’affermazione non sembri un’assurdità, perché è quanto dispone l’art. 4, comma 3, della legge 186/2003. La riforma dello stato giuridico dell’insegnamento della religione cattolica (Irc) è stata approvata dal parlamento da due anni, ma i suoi effetti saranno visibili solo con l’anno scolastico alle porte. A cominciare dalla preoccupazione per l’assunzione di 15mila docenti in tre anni, di cui 9229 per questo anno scolastico. Assunzioni frutto della legge - che ha dato il via libera alla copertura di un numero di posti pari al 70% delle cattedre - ma che contrastano con tutte le ultime rilevazioni effettuate sulla frequenza studentesca all’insegnamento della religione cattolica.

Catastrofico, ad esempio, il dato pubblicato da tecnicadellascuola.it, che arriva a sostenere un abbandono pari al 37,6% tra gli studenti delle scuole superiori. Molto diversi i dati forniti dalla Cei ed elaborati dall’Osservatorio statistico del Triveneto, anche se nemmeno la Conferenza episcopale italiana può esimersi dall’osservare un lento quanto costante abbandono dell’ora di religione, con i «non avvalentisi» passati in dieci anni dall’11,4% al 14,7% del totale degli studenti delle scuole superiori.

Attesi per settembre i dati ufficiali del ministero che chiariranno la questione, l’ipotesi di mobilità degli insegnanti di religione resta comunque lontana. Prima dovrebbero essere tagliate tutte le cattedre attualmente coperte da supplenze. Poi, in ogni caso, il licenziamento scatterebbe dopo due anni dall’esubero.

Ma se una sua concreta attivazione appare improbabile, è la ratio stessa che ispira la legge ad essere oggetto di polemica. Secondo i dettami della 186/2003, infatti, gli insegnanti di religione sono sottoposti a concorso, ma l’ultima parola sulla loro abilitazione spetta direttamente alla valutazione e al nulla osta del vescovo di ogni singola diocesi. Un vero e proprio «sistema di reclutamento alternativo», come lo definisce Gianfranco Pignatelli, presidente del Comitato italiano precari, che - se applicato alla scuola pubblica - delegherebbe «al placet diocesano», cioè ad un gradimento religioso, un privilegio nell’immissione nelle graduatorie di mobilità rispetto a quanti, precari, continuano a totalizzare concorsi e supplenze. Un privilegio che non solo rappresenta una turbativa dell’accesso al lavoro, ma che restituisce un’immagine paradossale: uno Stato laico che delega ad un organo religioso la responsabilità di decidere dell’idoneità alle cariche pubbliche.