Tra 10 anni in pensione un insegnante su tre.
La previsione del ministero dell’Istruzione, Università
e Ricerca da La Gazzetta del Mezzogiorno del 29/8/2005
ROMA - Nel giro di dieci anni, oltre un terzo degli insegnanti italiani attualmente in servizio andrà in pensione. A lasciare la scuola, entro il 2014, potrebbero essere, infatti, più di 245mila docenti, vale a dire il 35% del totale. Si stima che, rispetto ai circa 16mila insegnanti che si sono ritirati nel 2004/2005, i pensionamenti aumenteranno mediamente di 2.000 l’anno, fino a raddoppiare di qui al 2013/2014. Senza considerare i possibili effetti della riforma previdenziale approvata nel 2004, che potrebbe portare a un’accelerazione delle uscite negli anni precedenti la sua entrata in vigore. E’ la previsione del ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, contenuta nel rapporto «La scuola in cifre». A causare il progressivo aumento dei pensionamenti, nei prossimi anni, è soprattutto l’età elevata dei docenti in servizio. Con un’inversione di tendenza rispetto allo scorso decennio quando, al contrario, si è assistito a una graduale riduzione delle uscite, passate dalle 34 mila del 1996/1997 alle 15mila del 2001/2002, anno dopo il quale di sono più o meno stabilizzate. Un andamento, spiega il Miur, che «risente delle riforme previdenziali (quattro dal 1992 a oggi), volte a prolungare la permanenza al lavoro». «Il progressivo innalzamento dell’età e dell’anzianità contributiva richieste per andare in pensione -sottolinea il rapporto- hanno determinato una graduale riduzione delle uscite dei docenti per pensionamento».
Piuttosto disomogeneo, sul territorio nazionale, il rapporto tra il numero di insegnanti in procinto di pensionamento e il totale dei docenti in servizio. A guidare la classifica, tra le regioni italiane, è la Sardegna, con il 42,7% di insegnanti che andranno in pensione nei prossimi dieci anni, a fronte della media nazionale del 35%. La percentuale resta elevata anche in Molise (40,9%), Basilicata (40,4%), Calabria (40,3%), Toscana (39,9%), Liguria (39,1%), Umbria (38,4%), Abruzzo (37,8%) e Friuli Venezia Giulia (37,4%). Mentre si allinea alla media nazionale per Marche (36,8%), Emilia Romagna (35,6%), Puglia (35,2%), Piemonte (35,1%) e Lazio (34,6%). Le regioni dove, invece, meno insegnanti usciranno dalla scuola sono il Veneto (33,2%), la Sicilia (32,3%), la Campania (32,2%) e la Lombardia (30,9%), ultima in classifica con la minore incidenza di futuri docenti pensionati.
«La riduzione del personale docente a tempo indeterminato -spiega il Miur nel rapporto- è connessa alle politiche di contenimento della spesa pubblica che, in questi ultimi anni, hanno limitato le assunzioni nella pubblica amministrazione. Nel settore della scuola, in particolare, è stata realizzata una razionalizzazione delle cattedre che ha prodotto una riduzione dei posti». Negli ultimi cinque anni, comunque, sono stati immessi in ruolo circa 74mila docenti, «stabilizzando così -precisa il Miur- parte del personale precario e rispondendo all’aumento della domanda di insegnanti indotto dai cambiamenti organizzativi in corso (per esempio, introduzione della lingua straniera anche nei primi due anni della scuola elementare, espansione della scuola dell’infanzia, nuova normativa sul sostegno)».
Delle 74mila assunzioni effettuate tra il
2000/2001 e il 2004/2005, la maggior parte ha riguardato la scuola
secondaria di secondo grado (23.473), mentre 14.560 sono andate alla
secondaria di primo grado, 13.992 alla primaria, 13.778 al sostegno e
8.646 alla scuola dell’infanzia. Nel complesso, dei 698mila insegnanti di ruolo 234 mila appartengono alla scuola primaria, 225mila alla secondaria di secondo grado, 164 mila a quella di primo grado e 75mila alla scuola dell’infanzia. Quanto ai supplenti, invece, la quota maggiore interessa la scuola secondaria di secondo grado (37mila), dove rappresentano il 14,2% del totale dei docenti. Altri 29mila insegnanti a tempo determinato si trovano, rispettivamente, nella secondaria di primo grado (15,2% del totale) e nella primaria (11%). Sono 12mila, infine, gli addetti alla scuola dell’infanzia (13,8%). Nonostante il numero degli insegnanti sia in calo, le cattedre in Italia sono ancora troppe. Almeno a giudicare dal rapporto tra studenti e docenti, tra i più bassi in Europa e pari a 11 allievi per ogni insegnante (calcolando i posti in organico). Una proporzione aumentata solo di un punto rispetto a dieci anni fa, quando era di 10 a 1, e solo per l’andamento registrato nelle scuole superiori, mentre non si segnala nel decennio alcuna variazione per gli altri ordini. Tra i diversi livelli scolastici, comunque, il rapporto più elevato si riscontra nella scuola dell’infanzia, con un insegnante ogni 12 bambini, mentre quello minimo è relativo alla secondaria di primo grado (10 a 1). Per rapporto tra docenti e studenti, l’Italia è fanalino di coda in Europa, insieme al Portogallo, che detiene il record minimo (10 a 1). Il valore più alto, invece, si registra nel Regno Unito, con ben 20 allievi ogni insegnante, quasi il doppio che per un collega italiano. Elevato il rapporto anche in altri Paesi, come Germania (16 a 1), Finlandia e Francia (entrambi 14 a 1) e Spagna (13 a 1). Ma in Italia, avverte il Miur, «il tempo pieno e il tempo prolungato sono assicurati dai docenti; all’estero, invece, si fa più spesso ricorso ad altre figure professionali e non necessariamente a insegnanti». Rispetto ai colleghi europei, inoltre, risulta più basso il numero di ore di insegnamento «frontale» svolto dagli insegnanti italiani. Posto uguale a 100 il valore delle ore nel nostro Paese, la media europea risulta superiore di 8 punti percentuali nella scuola primaria, di 12 nella secondaria di primo grado e di 7 in quella di secondo grado. Le differenze appaiono più sensibili nelle scuole primarie di Regno Unito, Francia e Spagna, dove le ore di insegnamento superano quelle svolte in Italia rispettivamente del 27%, 20% e 18%. Non mancano, tuttavia, alcune eccezioni. In Finlandia, per esempio, i docenti insegnano in classe meno a lungo degli italiani in tutti gli ordini di scuola. Gli studenti italiani hanno, però, un carico di lezioni più elevato rispetto ai loro coetanei europei. Questo vale per tutte le età fino a 15 anni. In particolare, nella fascia 7-8 anni, posto pari a 100 il numero di ore di lezione in Italia, la media europea risulta inferiore del 18%. Unica eccezione è il Regno Unito, dove i bambini tra i 7 e gli 8 anni hanno un monte ore superiore del 3% rispetto agli italiani.
Il rallentamento nel reclutamento dei docenti ha
comportato anche una contrazione delle leve giovanili. E, quindi, un
aumento dell’età media degli insegnanti, che si attesta oggi sui 48
anni, due in più rispetto al 1999/2000. I docenti più anziani si
trovano nelle scuole secondarie di primo grado (51 anni in media),
mentre i più giovani nella primaria (47 anni). Nel 2001/2002 la quota
degli insegnanti ultracinquantenni è del 34,5%, un dato che accomuna
l’Italia ad altri Paesi europei e che risulta inferiore solo alla
Germania (43,3%). Fa eccezione, in Europa, il Portogallo in cui, a
seguito di politiche di rinnovamento del corpo docente, la quota degli
’over 50’ scende al 16,1%. In Italia, più che in altri Paesi europei, l’insegnamento è una professione tipicamente femminile. Le donne, infatti, costituiscono il 75,4% del totale dei docenti, la quota più alta fra gli Stati considerati (63,6% nel Regno Unito, 61,3% in Francia e Finlandia, 60,1% in Spagna, 56,8% in Germania). La loro presenza, però, sottolinea il Miur, «diminuisce al crescere del livello scolastico e, con questo, del prestigio attribuito all’insegnamento nei diversi ordini di scuola». Si passa, infatti, dal 97,6% della scuola dell’infanzia al 59,3% della secondaria di secondo grado. Anche a livello europeo, il tasso di femminilizzazione della popolazione docente diminuisce dalla scuola dell’infanzia alle superiori, dove, in alcuni Paesi, non arriva neanche al 50% (44,8% in Spagna e 37,6% in Germania). Inoltre, è ancora basso il numero delle donne a capo di un istituto. Fra i dirigenti scolastici, solo il 39,7% è costituito da femmine (3.200), anche se la loro incidenza è aumentata rispetto al 37,7% del 1999/2000. Sono circa 8 mila i dirigenti scolastici in Italia, nel 2003/2004, pari al 21% in meno rispetto al 1999/2000. E il 70% ha oltre 55 anni (il 12% in più). Un dato, osserva il Miur, che «risente sia del progressivo aumento dei pensionamenti nella categoria, sia dell’entrata in vigore delle norme sull’autonomia scolastica, che hanno indotto una riduzione delle istituzioni scolastiche e, quindi, dei capi di istituto». Nel 2004/2005, però, sono stati assunti circa 1.200 dirigenti e altri 1.500 lo saranno quando sarà concluso il concorso ordinario bandito nel 2004. Quanto al personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata), nel 2003/2004 è costituito da circa 253mila unità. Un «esercito» cresciuto del 66% rispetto al 1999/2000, per effetto soprattutto della legge 124 del 1999 che ha disposto, a partire dal 2000, il passaggio allo Stato del personale non docente fino a quel momento alle dipendenze degli enti locali. L’incremento maggiore si registra per il personale non di ruolo, che passa dal 14% al 28%. Anche tra gli Ata, le donne sono in netta maggioranza (61,6%) e la loro presenza è aumentata del 45% negli ultimi cinque anni. Gli «over 50», poi, sono oltre la metà, una quota più elevata rispetto al 1999/2000. Aumentato, infine, il rapporto tra personale docente e non, passato da 19 a 30 non docenti ogni 100 insegnanti tra il 1999/2000 e il 2003/2004. |