«Studenti vittime, insegnanti disperati»
«Tutti demotivati dalla scuola Moratti»
VENEZIA Quando sabato sera, a Venezia, è stata proclamata, a sorpresa, vincitrice del Super Campiello per il romanzo Una barca nel bosco (Guanda), Paola Mastrocola non credeva alle proprie orecchie. Tutti i pronostici davano come favorita, all’interno della cinquina dei finalisti, Antonia Arslan, con il libro La masseria delle allodole (Rizzoli). Facendo vincere invece Paola Mastrocola, la giuria popolare dei trecento lettori ha voluto evidentemente premiare un’opera che affronta un tema attuale come quello della scuola e della sua sempre maggiore incapacità di insegnare in modo serio, soprattutto agli studenti più bravi e motivati. La vicenda è quella di Gaspare, un ragazzino sveglio e intelligente che, giunto a Torino da un'isola del Sud Italia per frequentare il liceo, trova professori demotivati e irrimediabilmente disamorati del proprio lavoro. «Sono felicemente sorpresa - ha detto la scrittrice torinese ai giornalisti dopo la proclamazione - per il prestigioso riconoscimento del Campiello e spero che questo premio serva a far parlare, insieme al mio libro, dei problemi della scuola italiana, su cui esso si sofferma». Al mondo della scuola e ai suoi problemi, del resto, Paola Mastrocola, che insegna in un liceo scientifico, aveva dedicato anche il fortunato romanzo d'esordio, La gallina volante (Guanda 2000). A ottobre, invece, uscirà (sempre presso Guanda), un pamphlet narrativo dal titolo La scuola raccontata al mio cane.
Professoressa, come sintetizzerebbe la storia che ha voluto raccontare in «Una barca nel bosco»? Dire “una barca nel bosco” è come dire “essere fuori posto”. Gaspare è un ragazzo dalle molte potenzialità, che però vede frustrate da una scuola fatta di burocrazia e routine. Gli studenti oggi più svantaggiati, secondo me, sono paradossalmente quelli più brillanti, perché l’appiattimento generale dell'istruzione finisce con il penalizzarli. Ovviamente il mio è un romanzo, anche con elementi fantastici e visionari, e le cose vanno a finire bene. Temo però che nella realtà il lieto fine sia un po’ più improbabile.
La cronaca delle ultime settimane è allarmante: graduatorie nel caos, soppressione dei posti di sostegno, precari senza certezze, scarsissime garanzie di carriera... È questa la scuola di oggi? Temo di sì, e mi spiace molto, soprattutto per i giovani. Vedo che tra i miei ex alunni sempre meno scelgono, dopo l’università, la strada dell’insegnamento. L’insegnamento sarebbe un lavoro bellissimo, se le condizioni non fossero queste. Trovo disperante la situazione di parecchi giovani insegnanti, specialmente di quelli che nutrono passione ed entusiasmo. Mi auguro che non mollino, nonostante il disastro. Sarebbe una gravissima perdita per la scuola, che invece dovrebbe incentivare e premiare i docenti più bravi.
Condivide l’idea di creare delle «fasce» di merito tra gli insegnanti? Questa fu un’idea del ministro Berlinguer, arenatasi però sull’ipotesi del cosiddetto “concorsone”, che non venne condivisa dagli insegnanti. Che la richiesta provenga da un governo di centrosinistra o di centrodestra, mi sembra che comunque la valorizzazione del merito non sia più dilazionabile. Le graduatorie con i punteggi sono un sistema oggettivo, ma lì si va avanti per forza di inerzia: dodici punti all’anno, sia per chi fa bene il proprio lavoro sia per chi va in classe a leggere il giornale. So che potrà suonare impopolare, eppure ritengo che se fosse introdotta un po’ di meritocrazia anche nel nostro settore non sarebbe male. Un insegnante che non insegna rappresenta un danno irreversibile per un ragazzo.
Il problema è anche quello del reclutamento: il ministro Moratti vorrebbe che gli insegnanti venissero assunti su base locale, cioè a livello della singola scuola, abolendo lo status del ruolo nazionale... Temo un po’ l’idea che sia il preside a decidere chi assumere e chi licenziare. Cosa succede se un insegnante anche bravo sta antipatico al preside? Detto questo, credo però che si dovrebbe trovare un nuovo sistema per reclutare i docenti. Bisognerebbe procedere ad assumerli in maniera più concreta, circostanziata, sapendo davvero chi si va a chiamare, e non rassegnandosi in modo fatalistico a quello che arriva. La terribile situazione dei precari riflette lo sbandamento generale: è un non sapere dove andare, per i precari in senso fisico, per i docenti di ruolo in senso metaforico. Abbiamo perduto la nostra professionalità, un valore che è urgente recuperare.
Ci vuole anticipare qualcosa del suo libro «La scuola raccontata al mio cane», in uscita a ottobre? Lì sono partita dal punto di vista ristretto dell’insegnante di lettere, una materia che nella scuola di oggi è sempre meno apprezzata. È un libro sul decadimento dell’insegnamento della letteratura, una disciplina ritenuta inutile in una scuola che ci chiede di insegnare cose più “utili”. Pensi che, in seguito alla richiesta contenuta in una circolare ministeriale arrivata all’improvviso, mi sono trovata a interrompere la spiegazione dell’Eneide per fare lezione di educazione stradale. Insomma, abbiamo deciso di semplificare la scuola, credendo di rendere le cose più facili ai nostri ragazzi, mentre al contrario abbiamo reso più difficile il loro rapporto con la realtà. |