In classe con la Moratti.

Riforma Moratti anno primo:

mai così tanti problemi a scuola.

 

  di Matteo Tacconi da l'Unità del  9/9/2004

 

Suona la campanella, si entra in classe nell'Anno Primo dell'era Moratti. A dire il vero in Lombardia la scuola è già iniziata, l’8 settembre. Ma nessuno ha firmato “la resa”. E nel resto della penisola, dove le lezioni inizieranno più tardi, vale lo stesso discorso. Nessun armistizio è stato concordato. La riforma è ancora indigesta e presenta troppe cose che non vanno. Dal tutor, un mix tra il vecchio maestro unico e il manager d'azienda alla demolizione del tempo pieno. E poi ancora: dalle iscrizioni anticipate alla materna e alle elementari alla mancanza di fondi per i laboratori di inglese e informatica, assi portanti della “scuola delle tre I”. Per non contare i tagli: si prevedono 34 mila posti di lavoro in meno. È la Grande Depressione della scuola. Quella che Berlusconi spacciava come «la prima grande riforma di sistema dalla Gentile del 1923» è risultata un fallimento su tutti i fronti. Anche su quello dei finanziamenti: solo 90 milioni di euro, una bazzecola rispetto agli otto miliardi in otto anni promessi dal premier, che insieme alla ministra si merita una bocciatura senza appello.

 

Riforma Moratti anno primo:

mai così tanti problemi a scuola

 

Suona la campanella, si entra in classe nell'Anno Primo dell'era Moratti. A dire il vero in Lombardia la scuola è già iniziata, l’8 settembre. Ma nessuno ha firmato “la resa”. Nel resto della penisola i rientri a scuola saranno scaglionati: il 13 iniziano le lezioni in Toscana, Umbria, Piemonte e Valle d’Aosta, il 16 nel Lazio e così via. Ultima la Sicilia il 27 settembre. Ma vale lo stesso discorso della Lombardia: non è stato siglato nessun “armistizio”. Quella che tecnicamente si chiama legge 53/2003 ma è meglio nota come riforma Moratti non piace a nessuno. La battaglia va avanti.

Ma quale scuola va a iniziare per gli otto milioni e 679.444 alunni italiani? Se lo chiedono in molti, anche la ministra che tempo fa, sull'orlo di una crisi di nervi, ha dato ordine al direttore generale del suo ministero, l’ex Provveditore agli studi di Roma Pasquale Capo, di inviare una circolare dai toni minacciosi a tutti i direttori scolastici della Penisola, facendo riferimento a non meglio precisate sanzioni a carico di chi «non intende applicare i contenuti della riforma» o «contrastare i profili significativi della stessa». Ovvero: toccate tutto ma non il cardine della riforma, il tutor. Chi è costui? Poiché la legge è poco chiara, azzardiamo questa risposta: il tutor è una specie di miscuglio tra il vecchio maestro unico, come quello di Pinocchio e un “manager” con funzioni di valutazione dei progressi dell’alunno, di raccordo con il territorio e riferimento per le famiglie. Una specie di Primus inter pares che contrasta non solo con il principio di collegialità radicato nella scuola da un ventennio ma anche con il contratto di lavoro degli insegnanti, che non prevede buste paga aggiuntive.

Il linguaggio della circolare ministeriale minatoria di inizio anno resta in perfetto “burocratese” ma il concetto è chiaro: guai a chi boicotta la riforma di Letizia. Almeno applicatela un po’. In effetti sui cancelli di molti istituti scolastici compaiono – a Roma come a Parma – lettere dei direttori e dei presidi alle famiglie in cui si spiega che per il momento, essendo la riforma ancora difficile, nebulosa e vaga come un oggetto non identificato, per ora si attendono chiarimenti e si continua con il tempo pieno e il resto. Insomma, l’Anno Primo della “morattizzazione” rischia di rimanere un anno di transizione in attesa di tempi più chiari per applicare la riforma. Sempre che venga applicata, dato che l’incertezza e la disorganizzazione attuali verranno sfruttate fino in fondo da chi si oppone alla controriforma: genitori, sindacalisti, presidi e insegnanti. Quest’ultimi – presidi e insegnanti – potranno continuare tranquillamente a opporre resistenza alle fumose indicazioni della ministra, visto che come spiega Enrico Panini, segretario della Cgil Scuola, le sanzioni minacciate da Pasquale Capo non si sa a chi applicarle, non c’è un riscontro. La circolare aveva solo un effetto intimidatorio.

Fosse solo un problema di tutor o non tutor, le proteste non sarebbero così massicce. Ci sono tanti altri nodi al pettine. Le iscrizioni anticipate, per esempio, che permetteranno ai bambini di due anni e quattro mesi e cinque anni e quattro mesi di andare alla scuola materna o alle elementari prima dei coetanei. Ma diversi pedagogisti hanno storto il naso davanti a questa prospettiva, per non parlare del problema del tempo pieno, una conquista ritenuta acquisita e demolita mattone dopo mattone dalla Moratti, che ha intenzione di ridurre il tempo pieno da 40 a 27 ore. Le conseguenze? Impoverimento didattico e tagli al corpo docente. Su quest’ultimo aspetto le cifre fanno rabbrividire: 34 posti di lavoro in meno, rispetto all’anno passato. Una vera e propria crisi industriale, la Grande Depressione della scuola.

Ma per la Moratti, che si è sempre vantata di essere una donna d’azienda, l’importante è chiudere i cordoni della borsa, non versare un euro più del necessario. L'unica eccezione è il tutor, a cui andranno il 70 per cento dei finanziamenti previsti dalla Finanziaria per la riforma della scuola. Conti alla mano si parla di 63,81 milioni di euro sui 90 totali a disposizione del ministero dell’Istruzione. E gli otto miliardi in quattro anni promessi a Letizia dal premier Silvio Berlusconi? La solita sparata. Che però ha determinato una conseguenza di non poco conto: un conflitto di interessi tra il tutor e la “scuola delle tre I” (informatica, inglese, impresa), vero e proprio slogan elettorale del sire di Arcore. Stando così le cose il tutor che nessuno vuole e che assorbe tutte le risorse economiche sottrae fondi preziosi ai laboratori di informatica e inglese. La riforma non parte e «la prima grande riforma di sistema dalla Gentile del 1923» di cui si vantano Berlusconi e la responsabile poco responsabile del dicastero dell’Istruzione non si intravede, nemmeno all’orizzonte. Letizia Moratti è bocciata.

 

 

 

Libri di storia: una ventata di revisionismo

La questione di Darwin la si conosceva già. Il ministero aveva manifestato la volontà di ripristinare un approccio “creazionista”, per sminuire quella teoria dell’evoluzione che è ritenuta una delle conquiste della scienza moderna. Poi erano arrivate le critiche, copiose e la Moratti era tornata sui suoi passi. Ma è ancora intenzionata a fare revisionismo. D’altronde la tendenza è questa: foibe, criminalizzazione della Resistenza, defascistizzazione. L’opinione di Adriano Prosperi, docente di Storia Moderna all’Università di Pisa, è severa: quella della Moratti «è una brutta storia, una svirilizzata favola edificante cucita intorno all’Europa cristiana, unita e solidale nella stessa identità, senza le Crociate, senza l’Inquisizione, senza Lutero e le guerre di religione, senza la caccia agli ebrei e alle streghe, senza la rivoluzione industriale, in una parola senza conflitti né oppressioni, di razza, di classe, di genere».

Questa visione di storia è frutto delle “Indicazioni Nazionali” che il ministero dell’Istruzione ha emanato in attuazione della riforma Moratti. Proprio in quanto indicazioni, i suggerimenti del ministero non risultano vincolanti. Nel senso che i docenti possono scegliere i libri di testo che preferiscono e le Regioni, in base al principio dell’autonomia, potranno fornire proprie indicazioni. Ma questo non attenua le responsabilità del MIUR, perché le Indicazioni Nazionali attuali costituiranno in futuro il canovaccio a cui faranno stretto riferimento gli editori. «Gli editori restano liberi, per carità – ci dice una persona che conosce bene l’ambiente, – ma è chiaro che le Indicazioni ne condizionano il lavoro». È sempre la stessa fonte che poi ci spiega quali sono le difficoltà delle case editrici. Dipenderebbe tutto dal “taglio cronologico”. Se ad esempio le Indicazioni stabilissero – si ragiona per assurdo – che si debba dedicare poco spazio all’argomento fascismo e il doppio almeno a quello comunismo, sotto il profilo della repressione, della negazione delle libertà e altro, chiaro che gli editori avrebbero sì la libertà di impostare un libro come meglio credono, ma si troverebbero di fronte al problema di mettere la sordina al fascismo, perché le Indicazioni prevedono per il Ventennio uno spazio ridotto.

A parte gli esempi un po’ forzati, va detto che il taglio cronologico del ministero dell’Istruzione è molto ideologico. Sempre Adriano Prosperi fa notare come siano fortemente ridimensionate la Storia Moderna, la conquista coloniale dell’America e del resto del mondo da parte dell’Europa, l’industrializzazione, per non parlare della povertà tematica sul Novecento. Emblematico, in questo senso, un documento redatto dagli studiosi del Dipartimento di Storia di Bologna, dopo una conferenza con altri storici. Citiamo una parte del documento: «I programmi del 1979 per la scuola media e quelli del 1985 per la scuola elementare – e poi altri successivi, ndr – non elencavano liste di contenuti, non imponevano una selezione e una formulazione tematica degli argomenti. Erano molto aperti e liberali. Di conseguenza il plasmare il carattere della storia scolastica è dipeso dai produttori dei libri, che hanno potuto liberamente accogliere nella manualistica le conquiste della storiografia esperta. Le Indicazioni attuali elencano invece un inventario completo di contenuti e li formulano tematicamente e concettualmente. In tal modo impongono ai produttori di storia scolastica – che devono confermarsi ad esse per stare nel mercato – la selezione delle conoscenze e la loro tematizzazione. La presenza dei manuali conformisti finirà per affermare una visione della storia unica». Una visione che gli storici di Bologna definiscono “una visione ideologica di regime”.

Ancora problemi, determinati dalla sovrapposizione della riforma con i vecchi programmi. Uno studente che in quarta elementare ha studiato il Medioevo, in quinta si ritroverà a studiare la Storia Antica. Un salto all’indietro evidente. E il passaggio dalla quinta elementare alla prima media è ancora più drastico, visto che si salta a piedi pari lo studio della Storia Antica (passando dalla Storia Moderna al Medioevo).

Ma ecco alcuni esempi che impongono la visione monolitica del MIUR: si parla di “comparsa dell’Uomo” e non di ominazione (il termini scientifico), di “civiltà europea dopo il Mille e di unificazione religiosa e culturale dell’Europa”, come se non ci fossero stati gli scismi d’Oriente e Occidente, si scrive “scoperta dell’Altro”, come se il colonialismo e le persecuzioni razziali non fossero mai esistiti.

Infine, tornando su Darwin, c’è da mettere in luce come in terza elementare, la storia che si dovrebbe studiare sembra più che altro una disciplina legata alla mitologia e alle scienze. La terza elementare è sì dedicata allo studio della preistoria, ma il blocco di studi iniziale, “la Terra prima dell’uomo”, è notoriamente è un argomento di scienze, di geologia, in quanto la storia si occupa del passato dell’umanità, non di quello della Terra. E quello finale, “miti e leggende delle origini” sembra un invito a mettere a confronto la teoria creazionista con quella evoluzionista. E esula di nuovo dalla storia, sconfinando nelle scienze e ponendo i presupposti per sabotare il darwinismo.