Stress e qualità dell’insegnamento LA SCUOLA DEI PRECARI
di Gaspare Barbiellini Amidei da Il Corriere della Sera del 22 Settembre 2004
All'edicola una bambina si fa regalare dal nonno un album e qualche figurina, una giovane donna compra un quotidiano: è domenica, giorno di vacanza per studenti e docenti. Si riconoscono e si salutano con un certo calore, la vita quest'anno le ha separate, la ragazzina ha cambiato maestra per via delle graduatorie o per qualche altra variabile nel lavoro e nel pendolarismo dei precari. «Peccato», è il commento comune, qualche altra parola gentile poi ognuno va per la sua strada. Ogni otto persone che a Milano insegnano nelle scuole pubbliche almeno una è precaria, quell'andare e venire di voci e di volti è piuttosto comune. La fine delle vacanze segna un momento di incertezza, c'è chi ritrova un amico e chi deve ricominciare ad ascoltare e affezionarsi a un nuovo educatore. Pare che le cose promettano di migliorare. Statisticamente gli ottimisti rilevano più ordine. Non so, dietro ci sono questioni complesse, errori antichi di gestione degli uomini e dell’organizzazione, ora siamo in un momento di passaggio, sullo sfondo c'è la riforma, si annunciano novità. Ma una cosa è affrontare il tema burocratico-didattico dell’assegnazione delle cattedre e delle esigenze anche meritocratiche della scuola, alla quale serve qualità professionale, una cosa è fermarsi a considerare l'intera vicenda dell'insegnamento, precario e non, vedendola dall'angolazione di vita del precario. Essere precario a Milano è un'esperienza dura, non soltanto per la vaghezza degli esiti del mestiere. Rileggo le parole di miei lettori «precari». Una lettera vuol subito esprimere un riconoscimento: «Da quattro anni gli incarichi annuali e i pochissimi posti di ruolo vengono assegnati con tempismo, per volontà superiore, sia di iniziare puntualmente l'anno sia di soddisfare l'utenza. Fin qui nulla da dire». E a me non pare poco. Ma poi dalla vetrina delle aule si passa ad osservare «il mondo sconosciuto del precariato scolastico». Scelgo dall'elenco delle lamentazioni soltanto tre o quattro punti. Gli uffici di Milano «sono aperti al pubblico solo due mezze giornate a settimana fino alle 17». «Duemila sono stati i ricorsi a Milano dopo l'uscita della provvisoria». «Se un precario non conosce il giorno di chiamata per la nomina, rischia di non lavorare per un anno, perdendo soldi e punteggio». Mi scrive una non giovane maestra, più o meno cinquecentesima su 5 mila nella graduatoria permanente di Milano: «Sono un'insegnante milanese di scuola elementare, precaria da una dozzina di anni. Che cosa dice dello stress nel cambiare annualmente classe, materia, scuola, colleghi, tragitti e, talvolta, abitazione?». Sono convinto che la scuola, i ragazzi e le famiglie abbiano tutti diritto a insegnanti sereni e preparati. La preparazione si accerta con un giudizio fondato su meriti professionali. Ogni docente inadeguato è un torto ai suoi alunni. Detto questo, non ho conoscenze esatte per dire quanti precari meriterebbero da tempo di essere nella pienezza della cattedra e quanti no. Un asino che insegna mi fa paura quanto l'ingiusto ostacolo frapposto ad altri nove docenti dall'insufficienza pubblica di posti. Resta la domanda che aspetta risposta: su quale bilancio della città e del suo razionale gestirsi iscriviamo lo sperpero di serenità di tanta gente che, precariamente, a Milano passa da una scuola all'altra, da un'aula all'altra, da una materia all'altra? |