I danni della saturazione delle cattedre

 di Tiziano Tussi  da ItaliaOggi del 28/9/2004

 

È il terzo anno che la saturazione delle cattedre a 18 ore ha portato a cambiamenti di un certo rilievo nella didattica, soprattutto delle scuole superiori. Si assiste a una frantumazione dell’insegnamento, con la conseguenza che i ragazzi si trovano a cambiare l’insegnante, anche se di ruolo, per la stessa disciplina ogni anno.

 

Prendiamo il caso della cattedra di storia e filosofia in un liceo scientifico. L’orario di cattedra, che prima era di quindici ore di insegnamento e tre a disposizione per supplenze ed altro, è stato portato a diciotto ore. Per aggiungere lo scopo vi sono due strade.

 

La prima: si mantiene il carico di lavoro precedente, di solito un corso completo del triennio, e si aggiunge una parte di un’altra classe dello stesso livello, ma solo storia o solo filosofia. In pratica un insegnante si trova ad avere, nel suo compito settimanale, un corso completo più uno spezzone di un’altra classe.

 

Quest’ultima si inserisce come un rimasuglio nel suo progettare, nella sua costruzione didattica. Infatti, il corso completo si presenta come un percorso razionale nel quale perseguire un progetto pedagogico e culturale che per essere realizzato richiede tre anni di programmazione e di vita partecipativa con gli studenti. È evidente che il piccolo spezzone di classe partecipa solo marginalmente a tale progettualità. Nel consiglio di classe “spurio” il professore in questione sarà inoltre visto come un partecipante minore mentre nel corso completo resta uno degli elementi cardine. Il tutto nella stessa scuola. Anche gli studenti avranno perciò la sensazione di avere insegnanti a pieno regime oppure una specie di part-time interno.

 

L’altro sistema è quello di attribuire all’insegnante a diciotto ore obbligatorie due terze classi più due quarte, oppure tre quinte, per coprire esattamente l’intero arco di lavoro richiesto. Si può facilmente capire il significato di forzosa specializzazione su alcune parti dell’intero programma del triennio. Anche in questo caso l’insegnante in questione avrà una posizione anomala nei consigli di classe. Tralasciamo anche le difficoltà in ordine dell’esame di maturità, nel caso di un assegnamento di più classi terminali. La sensazione, per i docenti, è di essere impiegati solo per coprire un buco.

 

Ciò che conta per l’amministrazione è solo la necessità di ripianare il bilancio della scuola. Tentativo che tra l’altro non è neanche raggiunto, perché ciò che si risparmia con le supplenze deve essere pagato per le ore eccedenti degli insegnanti di ruolo.

 

Gli effetti negativi per gli studenti, invece, sono certi e dovrebbero indurre il ministero a ripensare all’organizzazione a 18 ore. L’insegnamento non è una mera organizzazione oraria, richiede progettualità e contatto prolungato con gli studenti. Per rendersene conto, basterebbe verificare il rendimento degli alunni che non cambiano spesso insegnanti rispetto a quelli che sono costretti invece a una continua turnazione. Fenomeno molto diffuso soprattutto quando si ha la sfortuna di avere docenti supplenti. La precarietà, detta altrimenti flessibilità, nella scuola non funziona.

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