L'ora di religionE
di Vannino Chiti da l'Unità del 22/9/2004
A scuola quando c’è l’ora di religione: la gran parte dei bambini e dei ragazzi, resta. Alcuni escono. Così oggi. E domani? Nelle nostre scuole ci saranno sempre più ragazzi con un altro colore della pelle, con altre fedi religiose. Lo Stato costruirà per loro occasioni di incontro, sollecitazioni a sentirsi non separati e divisi bensì soggetti di una stessa comunità paese? Da piccolo, quando frequentavo, in un paesino di montagna, le scuole elementari in una pluriclasse, rimasi fortemente colpito dal fatto che una bambina, una soltanto, usciva all’ora di religione. Ho presente ancora nel ricordo il suo e il nostro inconfessato imbarazzo, come un senso di diversità che attraversava quella comunità di bambini. La ragazzina che usciva si chiamava Stella e la spiegazione che ci davano i grandi, ci appariva allora come un qualche cosa di misterioso: non è cattolica, è evangelica. Il Concordato del 1984 è stato un bel passo avanti, rispetto a quello firmato con il regime fascista. E tuttavia - senza entrare ora in una discussione sulla validità in sé dello strumento concordatario - contiene alcuni limiti e ambiguità. Il più grande per me resta quello sull'ora di religione. E' una materia, che dovrebbe essere inserita nel curriculum scolastico. Al tempo stesso è un insegnamento che si può non frequentare, scegliendo una materia alternativa o addirittura uscendo da scuola. È, dovrebbe essere una materia, però l’ora di religione riguarda quella cattolica ed è svolta da insegnanti, quasi sempre preparati e seri, la cui idoneità viene decisa da una autorità esterna, non statale ma ecclesiastica; quella delle Diocesi. Sia chiaro: non intendo sollevare un problema politico. Resto convinto che su questioni tanto delicate e complesse, sia giusto procedere non a colpi di voto, con decisioni di maggioranze più o meno ampie, ma attraverso una paziente ricerca di soluzioni che registrino amplissimi consensi, il convincimento dei soggetti interessati, in questo caso la stessa Chiesa Cattolica. Pongo dunque, intanto, un tema di confronto culturale, collocato in una società che cambia e per la quale, tutti, abbiamo il dovere di preparare processi di integrazione, anche nuovi, guardando alle esperienze già compiute, in Europa ad esempio. Una integrazione positiva non cancella le identità, le fa incontrare, confrontare, costruisce attraverso lo stare insieme occasioni continue di arricchimento. E' questa la via per società che vogliano rendere più forte, giusta, solidale la convivenza dei loro cittadini. Il contrario delle agitazioni della Lega, che scuotono paure, seminano incertezza, predicano talora odio. Non abbiamo bisogno di tante scuole quante sono le confessioni religiose o le culture atee. Né sono utili occasioni di separazione all'interno delle stesse scuole, delle medesime classi. Il ministro della Pubblica Istruzione appare in ritardo, incerto e confuso attorno a situazioni che già si presentano con il segno dell’urgenza. Non sarebbe preferibile sciogliere le ambiguità presenti oggi nell'ora di religione (cattolica), per andare verso un insegnamento obbligatorio ma neppure lontanamente sfiorato da confessionalismo, come quello di una materia relativa alle Religioni nella Storia? Questa riflessione, che mi portavo dentro, è stata di recente confortata ed arricchita dalla lettura di un documento del Centro interuniversitario per la storia del cambiamento sociale e dell’innovazione e dal Laboratorio sulle relazioni multiculturali e multireligiose. Si tratta di una proposta, costruita da esperti, esponenti di varie religioni, da insegnanti di religione presentata a Vallombrosa nel corso dell’annuale seminario di studi, questa volta dedicato a «Democrazia, Laicità e società multireligiosa». Obiettivo è quello di «imparare le religioni e di imparare dalle religioni» nel rispetto della pluralità. L’educazione religiosa a scuola non può coincidere con il catechismo o il proselitismo. «L’adesione confessionale rimane di competenza delle famiglie e delle comunità religiose. La scuola si assume il compito interculturale di fornire alle giovani generazioni esperienze di riflessione sui differenti modi di vivere l'esperienza del sacro e di dare risposte ai grandi bisogni di senso». Non si tratta di giungere alla conclusione che tutte le religioni sono uguali, ma che è possibile trovare all'interno dei differenti credo valori significativi e che tutti gli essere umani sono portatori di istanze e bisogni simili, ai quali hanno fornito, in tempi e spazi differenti, differenti risposte. Il progetto è pensato per consentire la legittimazione dei diversi vissuti religiosi e per sviluppare il rispetto e la sensibilità verso gli altri, la loro fede, le loro tradizioni. Il rapporto costante con la comunità locale, àncora l’educazione religiosa all’ambiente socio- culturale nel quale gli alunni vivono e contribuisce così a formare un nuovo senso di cittadinanza e rafforzare le solidarietà. Il documento discusso a Vallombrosa avanza una proposta per l’impostazione metodologico-didattica dell’insegnamento della religione, dalla scuola dell'infanzia a quella superiore, ed anche per la realizzazione di fasi sperimentali in alcune classi o istituti. Sarebbe utile, per verificare sul campo i temi di un dibattito culturale ed i suoi esiti concreti. Un’ultima sottolineatura, che è parte integrante del ragionamento. Abbiamo bisogno, per la civiltà della nostra convivenza, nelle società di oggi e di domani, di un “di più” di laicità, nella vita dello Stato e nei principi cardine che la orientano, nella politica. Dobbiamo avvertire con preoccupazione che alcune correnti di pensiero ed esperienze religiose non sono ancora pervenute al riconoscimento del valore della laicità; altre lo stanno in parte ridiscutendo e limitando. Il fatto è, io credo, che la laicità costruita dalla cultura liberale rappresenta un fondamentale approdo di teoria politica e di organizzazione degli Stati, ma è oggi insufficiente. Si fonda sulla separazione tra Stato e Chiese e sulla delimitazione della esperienza religiosa a fatto privato, della coscienza individuale. È quest’ultimo aspetto che visibilmente non regge più. Per dare nuova forza e fondamento alla laicità, bisogna ripensarla e svilupparla, a partire dal riconoscimento alle religioni della loro dimensione collettiva, della loro necessaria visibilità e presenza nel confronto che precede e accompagna le grandi scelte, culturali, politiche, di governo. Lo Stato non deve fare le proprie leggi, prendere le sue decisioni sulla base di una curvatura confessionale; rappresenta tutti i cittadini. Al tempo stesso è necessario riconoscere anche alle religioni «una cittadinanza pubblica», la piena legittimità di un visibile agire politico. È indispensabile costruire occasioni e sedi per un confronto non episodico interreligioso e con lo Stato. Non è facile ma è necessario. È la via del dialogo visibile, che costruisce i confini rinnovati della laicità. |