«Immigrati, no alle quote in classe».

Il ministero boccia il progetto di Brescia.

Ma Forza Italia e Lega: soluzione possibile.

 

di Mariolina Iossa da Il Corriere della Sera dell'11 Settembre 2004

 

ROMA - Cultura dell’accoglienza, altro che quote. Il bambino straniero è una ricchezza non un ostacolo all’integrazione. Dal ministero della Pubblica istruzione, quindi dal ministro Letizia Moratti, attraverso il direttore generale per lo studente, dottoressa Mariolina Moioli, arrivano grandi enunciazioni di principio in risposta alle «quote per gli extracomunitari nelle classi». Che vogliono dire molto più semplicemente: no alle quote. Al ministero non è affatto piaciuto il progetto di una sorta di tetto, anche se dietro c’è soltanto l’intenzione di distribuire meglio gli studenti stranieri nel caso di forti concentrazioni all’interno di una sola classe. E così ieri da Brescia, dove l’idea era stata lanciata, arrivano delle precisazioni. Il dirigente scolastico provinciale Giuseppe Colosio, preoccupato dal montare di una vicenda che, per sua stessa ammissione lo ha «trascinato in una tempesta», ha messo le mani avanti: «Non c’è un piano preciso, ci sono progetti nel cassetto che verranno portati nelle sedi istituzionali». E l’assessore comunale Carla Bisleri del centrosinistra ammette: «Il problema esiste ma non si risolve certo con le quote». Di fatto, dicono al ministero, le quote a Brescia o altrove non si possono proprio fare. «C’è un principio generale - spiega con pacatezza la Moioli - in base al quale le scuole sono tenute ad accogliere un bambino e a dare seguito al suo diritto-dovere di istruzione. Una scuola non può rifiutarsi di prendere un bambino. Se qualcuno imponesse delle quote, il ministero interverrebbe».

Eppure il problema è sotto gli occhi di tutti, non si può far finta di nulla. «C’è un ufficio nazionale - replica la Moioli - per l’integrazione degli immigrati, che prima non esisteva e che la Moratti ha istituito. In quella sede, in collaborazione con le scuole dell’autonomia, i dirigenti, gli assessori, si può discutere di eventuali soluzioni legate a esperienze concrete. Il ministero è disposto ad avviare azioni a sistema per iniziative che aiutino le scuole a diventare più accoglienti. "Quote" è una parola bruttissima, rimanda alle riserve».

Allora non chiamiamole quote. Ma se in una classe elementare con 25 bambini, 13 sono stranieri, di etnie diverse, e molti non conoscono la lingua, qualche problema di didattica oltre che di dialogo culturale si porrà, inutile negarlo. Minimizzare non aiuterà i piccoli immigrati e neppure i bambini italiani, semmai farà crescere le scuole-ghetto e la fuga dei genitori. Il senatore Franco Asciutti, di Forza Italia, non rischia questa ambiguità: «Premesso che non è possibile prendere dei bambini e portarli in una scuola a venti chilometri dal loro quartiere, premesso che occorre distinguere tra gli stranieri nati in Italia e quelli appena arrivati, io non vedo ostacoli ad una sorta di quote».

«Il problema è reale e va governato», condivide il responsabile scuola di An, Giuseppe Valditara. «Occorre finanziare corsi di lingua, in Italia e nei principali Paesi da cui proviene l’immigrazione. An proporrà che per iscriversi bisognerà aver frequentato questi corsi di lingua italiana». Giovanna Bianchi Clerici, della Lega, confessa di comprendere «le ragioni di quei genitori che hanno ritirato i propri figli. Lo avrei fatto anch’io. In una classe con troppi stranieri si rischia di creare un ghetto e di non riuscire a svolgere l’attività programmata».

A una iniziativa di una giunta di centrosinistra, quella di Brescia appunto, dal centrosinistra arrivano dei distinguo. Non se ne fa un problema di quote e basta, troppo riduttivo. «Siamo sempre all’approccio dell’emergenza - dice Albertina Soliani della Margherita -. Il fenomeno è ormai strutturale. Abbiamo 300 mila studenti stranieri e in dieci anni raddoppieranno. Occorre che ministro, assessori, dirigenti prendano in mano la situazione. Il ministero fa enunciazioni di principio ma poi taglia i fondi ai mediatori culturali».

«Il punto è che mancano le figure indispensabili per realizzare una vera integrazione - conferma Andrea Ranieri, responsabile Ds della scuola -. Senza i mediatori culturali e linguistici la battaglia è persa sia se in una classe ci sono solo 3 bambini stranieri sia se ce ne sono 13. Il tutor multiculturale non è la stessa cosa del tutor generico che non sa come comunicare con gli stranieri perché non ha una formazione specifica».