I DIRITTI DI TUTTI.
di Gaspare Barbiellini Amidei da Il Corriere della Sera del 10/9/2004
Duecentocinquantamila ragazzi stranieri che studiano in Italia: vogliamo mettere loro un «tetto»? Detta così l’idea è piuttosto sbrigativa. Vista dall’osservatorio di Brescia, dove i genitori preoccupati dell’attrito che i dislivelli linguistici possono creare al cammino di apprendimento dei loro figli hanno chiesto che si trovi una soluzione, la formula si riduce alla speranza che si possa fare meglio. Il progetto, se intendo bene, è di ridistribuire il peso delle diversità fra le varie classi e le varie scuole. E’ necessaria una grande solidarietà all’interno di un sistema dell’istruzione che è chiamato a servire una società che sta diventando multietnica. E’ indispensabile a questo proposito una premessa: il disagio della difficile integrazione non può essere fatto pagare alle famiglie, né a quelle che faticosamente si vanno inserendo né a quelle che hanno radici sul territorio da secoli. C’è una esigenza preliminare: non allontanare nessun ragazzo dal suo contesto abitativo, non spostarlo oltre distanze ragionevoli. Inventare per i ragazzi stranieri una categoria di soprannumerari non avrebbe senso e sarebbe anche offensivo. La politica della «Bus school», sperimentata negli Usa in Stati del Sud negli anni Sessanta, con ragazzi bianchi trasferiti in autobus verso scuole di quartieri neri e viceversa per favorire l’integrazione, non è certo applicabile a casa nostra. La nostra è una integrazione che parte dal cortile della scuola comune, e che si giova della naturale capacità di mediazione che i bambini hanno, italiani e stranieri, nei confronti degli adulti. I bambini stranieri, velocissimi nell’apprendere l’italiano e perfino il dialetto del luogo, sono di solito i migliori operatori culturali di una convivenza pacifica, fanno da traduttori ai loro genitori e ai loro nonni e spesso lentamente li invitano ad accettare i costumi del luogo. Concretamente si possono dire alcune cose:
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