Difendiamo la libertà formativa

e la laicità della scuola pubblica.

 

Un commento all'allegato D del decreto legislativo del 19/2/2004

sul primo ciclo della scuola.

 di Clotilde Pontecorvo, Università degli Studi di Roma La Sapienza,

da Territorio Scuola InterAzioni del 13/9/2004

 

Come avevo già annunciato nell’editoriale uscito su Confronti nel numero di aprile u.s., uno dei documenti più pericolosi per il futuro formativo dei nostri bambini e ragazzi, tra quelli prodotti dal Governo in attuazione della Legge Delega, è il contenuto dell’Allegato D al Decreto Legislativo del 19-02-04. Visto il buon risultato che si è ottenuto con la decisa critica alla incredibile scomparsa di Darwin dai programmi della scuola media, su cui si è già avuto un ripensamento radicale da parte del Ministro Moratti per la reazione convinta e dura di tutta la comunità scientifica, è il caso che coloro che si battono per difendere la laicità della scuola pubblica, quali sono di necessità (ma non solo) tutte le minoranze religiose e culturali, insieme ai gruppi da sempre impegnati nella difesa della laicità della scuola pubblica, intraprendano una decisa battaglia per chiedere una modifica sostanziale di quell’allegato al Decreto Legislativo che si chiama Il profilo educativo, culturale e professionale (sic) dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni) 1.

1 In quello che segue userò il corsivo per segnalare le citazioni testuali dal testo ministeriale, che qui commento.

Come tutti questi testi ministeriali, commentati in precedenza, anche questo è poco perspicuo, mal costruito e mal scritto e ampiamente criticabile nel contenuto, anche nella denominazione sia di profilo di uscita (termine che in genere si usa con riferimento a una professionalità definita e non per una parte comune e iniziale della formazione generale) sia dell’aggettivo professionale che lo accompagna e che non corrisponde affatto alle finalità formative di un primo ciclo dell’istruzione . (Rinvio al contributo critico di Maurizio Tiriticco, in Notizie della Scuola, anno XXXI, n. 15, aprile 2004, pp. 203-211, per una puntuale analisi critica di tutto il documento ). Tuttavia, il suo ruolo è più rilevante degli altri documenti perché sembra indicare dei principi generali a cui si dovrebbero (forse) attenere i progetti formativi delle scuole, che sono invece molto libere perché autonome rispetto ai contenuti e ai modi di organizzazione e svolgimento del loro progetto educativo.

E proprio per questo vorrei mettere in evidenza i grandi rischi di prevaricazione, a esplicita connotazione ideologica, che sono presenti in tale documento, che è suddiviso in : una premessa; il profilo, articolato in: identità, strumenti culturali e convivenza civile; e da una sintesi conclusiva. Vorrei premettere che il linguaggio di questo documento, così come quello di tutte le indicazioni nazionali, è piuttosto contorto e moraleggiante, oltre che lapidario, in quanto le finalità sono tutte enunciate all’indicativo, come se fosse sicuro e garantito (dal tono apodittico) che tutti i ragazzi e le ragazze di questo paese, di qualunque condizione sociale, etnia, lingua o abilità di partenza, raggiungano di sicuro questo profilo, senza alcun problema o incertezza.

Il che fa supporre che chi ha scritto questo testo non abbia nessuna nozione né diretta né indiretta di che cosa sia il reale impegno educativo e didattico oggi degli insegnanti e delle scuole né di quali siano le condizioni reali dei bambini e dei ragazzi, nelle loro grandi diversità, difficoltà, potenzialità e necessità formative, in una realtà familiare e sociale per nulla facilitante. Che cosa è esattamente questo testo? Non è facile da definire. E’ assai poco curvato nel senso dell’ istruzione, sia del sapere sia del sapere fare: non si parla né di conoscenze né di competenze. Né meno che mai di quello che si deve mettere in pratica nella scuola, nelle classi, nei gruppi.

E’ tutto declinato verso un essere, rivolto al profilo del ragazzo di 14 anni, con delle gravissime violazioni dei principi della Carta Costituzionale che invece costituisce pur sempre un documento condiviso fondamentale, in quanto indica con chiarezza nella sua prima parte, e in modo a tutti comprensibile, quali sono le finalità comuni che deve avere l’istruzione realizzata nella scuola pubblica, nel quadro della libertà di insegnamento e di ricerca (che non è male ricordare in questo difficile momento per tutto il nostro sistema formativo).

L’identità (di cui parla l’allegato D) è giustamente articolata in conoscenza di sé , relazione con gli altri, e orientamento a un progetto di vita per il futuro, anche se tutto il testo soffre per essere assertorio, come se tutto andasse sicuramente verso il meglio, senza tenere alcun conto dei condizionamenti culturali, mediatici, sociali e pubblicitari che premono sui ragazzi di oggi. Il testo garantisce che il ragazzo si pone in modo attivo di fronte alla crescente quantità di informazioni e di sollecitazioni comportamentali esterne, non le subisce ma le decifra, le riconosce, le valuta anche nei messaggi impliciti, negativi e positivi, che le accompagnano.

Negli strumenti culturali poi dopo aver indicato la conoscenza e la padronanza del proprio corpo e l’insieme delle attività motorie e sportive di base, si indicano tecniche differenziate di lettura (silenziosa e alta voce), per la comprensione di diversi tipi di testo, cosicché riesce anche a percepire come una frase produca un significato (sic) (ma gli estensori di tali documenti hanno mai affidato un messaggio orale per il papà ad una bambina di quattro anni?) senza che si indichi il corrispettivo delle capacità della scrittura di vari tipi di testi, che si sviluppa in stretta relazione con le attività di lettura individuale e collettiva, come ha ampiamente mostrato in questi anni la ricerca e la sperimentazione didattica.

Ma il punto cruciale di questa parte è data dal terzo capoverso, in cui senza farsi alcun problema di rispetto delle differenze culturali e religiose che hanno pieno diritto di cittadinanza e di crescita nel nostro Paese (fatto, sancito dalla Costituzione, e dalla Dichiarazione dei diritti degli uomini e dei bambini, che in questo Allegato D non sono mai richiamate) si afferma che il ragazzo ha consapevolezza, sia pure in modo introduttivo, delle radici storico-giuridiche, linguistico-letterarie e artistiche che ci legano al mondo classico e giudaico-cristiano (avendo intanto il legisaltore cancellato con cura l’insegnamento della storia antica nella scuola media in un paese come l’Italia, che ha le massime vestigia di quell’epoca) e dell’identità spirituale e materiale dell’Italia e dell’Europa; colloca, in questo contesto, la riflessione sulla dimensione religiosa dell’esperienza umana e l’insegnamento della religione cattolica, impartito secondo gli accordi concordatari e le successive intese. Uso il grassetto per questa parte della citazione, per mettere in particolare evidenza una grave e prevaricante asserzione ideologica, perché mi pare che si sia invece voluto introdurre in modo surrettizio in un testo allegato a un Decreto Legislativo (a cui sembra che non sia stata rivolta alcuna attenzione specifica da parte delle Commissioni Parlamentari competenti, per esprimere il loro parere obbligatorio).

Siamo tornati allo Statuto Albertino? Abbiamo di nuovo una religione di stato? Che cosa dicono e che cosa fanno (soprattutto) le comunità religiose minoritarie più antiche e più sensibili alla tematica, quali sono le Comunità evangeliche e le Comunità ebraiche, che hanno anche le più vecchie intese con lo Stato italiano, insieme anche ai cattolici e agli islamici più sensibili al problema ? Chi scrive ha frequentato la scuola pubblica nel dopo guerra ancora sotto il regime concordatario dei Patti lateranensi, quindi con l’esonero dall’insegnamento della religione. Ma il nuovo Concordato del 1984 ha istituito la facoltatività dell’IRC, ed ha anche aperto la strada ai nuovi programmi della Scuola Elementare del 1985, consentendoci di far cadere finalmente il riferimento alla religione cattolica come fondamento e coronamento dell’educazione primaria (retaggio dell’offerta politica di Mussolini al Vaticano, come scambio contro la messa al bando del cattolicesimo liberale dalla vita politica, associativa e sindacale).

Non credevamo di dover ritornare a venti anni di distanza su queste problematiche in un Paese, dove il numero di allievi di diversa etnia, cultura, religione è in continuo e rapido aumento, come peraltro è già avvenuto in tutta Europa. Come ci si può lanciare nelle affermazioni che ho appena riportato nel contesto della nuova Europa a 25 avviata il 1° maggio 2004?

Per concludere un’ultima citazione su di un altro punto delicato e pericoloso. Nella sintesi finale il sesto punto recita puntualmente che il ragazzo deve avvertire interiormente, sulla base della coscienza personale, la differenza tra il bene e il male ed essere in grado, perciò di orientarsi di conseguenza nelle scelte di vita e nei comportamenti sociali e civili. Nella sua teologica indeterminatezza questa asserzione riecheggia in me lo Stato etico e il sabato fascista, che ho sentito illustrare con grande sdegno da Tina Anselmi. A me pare che la scuola pubblica si debba preoccupare dell’educazione alla cittadinanza, come una finalità valida per tutti (che è invece molto in sottotono in tutto il testo, in quanto è messa accanto in modo indistinto all’educazione stradale , ambientale, alimentare, alla salute).

Per quanto riguarda le grandi domande esistenziali, che è fisiologico porsi a 10, 14, 18, 40 e 60 anni, non vedo perché la scuola debba pretendere di offrire soluzioni univoche e assolute, lasciando invece che ciascuno se le possa costruire nel modo che preferisce, attraverso opportune e varie sollecitazioni letterarie culturali e storiche , ma lasciando quella piena libertà di pensiero e di scelta che questo testo vuole conculcare.