«Non mandano i figli a scuola».

Islam, un altro caso a Milano.

Aperte due inchieste su 1.450 episodi di evasione dalle lezioni

Quattrocento genitori musulmani scelgono solo corsi coranici.

 

di Giuseppe Guastella e Annachiara Sacchi

da Il Corriere della Sera del 3/9/2004

 

MILANO - La magistratura milanese apre due inchieste sui 1.450 bambini che a Milano non vanno a scuola. Sul tavolo dei magistrati è arrivato un dossier del Comune secondo il quale 600 dei mancati scolari sono stranieri. Di questi ultimi, 400 frequentano la scuola musulmana di via Quaranta, una struttura a due passi dalla moschea al centro di molte indagini sul terrorismo islamico, ma le cui classi delle elementari e delle medie non sono legalmente riconosciute. E se per la maggioranza dei casi si tratta di mancate iscrizioni dovute a cause «comuni» (bambini che vengono mandati a lavorare, genitori disattenti e assenti), per i ragazzi islamici le ragioni sono quelle di una radicale scelta religiosa, consapevolmente fatta dai genitori. Tutto comincia un paio di mesi fa quando il Comune spedisce 3.500 lettere alle famiglie dei minorenni che non risultano iscritti a nessuna delle scuole milanesi. In 2.400 rispondono dando spiegazioni sufficienti (350 risposte, però, non sono ritenute del tutto convincenti e pertanto sono ancora sotto «investigazione»). Mancano all’appello in 1.100, 500 sono italiani, 600 gli stranieri. L’assessore all’educazione e all’infanzia Bruno Simini prende e spedisce tutto alla procura della Repubblica e alla procura per i minorenni. Partono due diverse inchieste.

La prima indagine riguarda i genitori. Il procuratore aggiunto Corrado Carnevali da ieri sta lavorando sul reato di «inosservanza dell’obbligo dell’istruzione elementare dei minori». È l’articolo 731 del codice penale che punisce «chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza giusto motivo, di impartirgli o di fargli impartire l’istruzione elementare». Un reato certamente non grave che è punito con un’ammenda fino a 30 euro.

Un’inezia per un cittadino italiano che, però, può diventare qualcosa di molto più minaccioso per uno straniero in possesso di un permesso di soggiorno. In procura a Milano c’è chi ritiene che addirittura una condanna, anche di minima entità, finendo sul certificato penale, potrebbe avere conseguenze negative sul permesso di soggiorno. Ma è un’ipotesi abbastanza improbabile.

I musulmani al centro dell’inchiesta - regolarmente residenti in Italia e in maggioranza integralisti - non mandano, come invece dovrebbero, i figli nelle scuole statali perché vogliono per i loro ragazzi un’educazione improntata ai principi sacri dell’Islam. E a Milano l’unica «scuola» in grado di garantire questo è quella di via Quaranta che, però, non è riconosciuta dallo Stato. Frequentarla, cioè, non ha alcun valore legale. La legge ammette che ciascuno impartisca ai propri figli l’educazione che vuole, ma a patto che la preparazione dello scolaro «privatista» venga di volta in volta valutata dalle scuole pubbliche attraverso un esame. E visto che ciò è avvenuto solo in pochi casi, i genitori - musulmani e non - che non hanno iscritto i figli rischiano la condanna. E, fatti i conti con la legge, dovranno anche cambiare metodo di istruzione. Per quanto riguarda la scuola di via Quaranta, l’indagine del dottor Carnevali potrebbe occuparsi anche della sua organizzazione se dovesse emergere che i genitori dei ragazzi non erano consapevoli della sua mancanza di «legalità».

Ad avviare la seconda inchiesta è stata qualche settimana fa la procura del Tribunale per i minorenni. In questo caso i magistrati si occupano delle ripercussioni che il comportamento dei genitori ha sui figli oltre che della condizione dei ragazzi. Si comincia con accertamenti sulla famiglia per proseguire con l’intervento degli assistenti sociali e arrivare, come conseguenza estrema, alla limitazione della patria potestà e perfino all’allontanamento dei bambini dalla famiglia.

«Non esistono resistenze o alibi» sul tema dell’assenteismo nelle scuole sostiene l’assessore Simini che definisce quella del Comune una «campagna informativa e non persecutoria» per richiamare i genitori ai loro doveri: «Non mandare i bambini a scuola è un reato».