La grande fuga

Troppi extracomunitari in classe.

E i genitori scelgono la scuola privata. Parte da Milano un fenomeno allarmante

 

 di Fiamma Tinelli da L'Espresso del  25/10/2004

 

Milano, 8 e 40 del mattino. In un bar di via Moscova, a due passi dal “Corriere della Sera”, alto tasso di professionisti e borghesia bene, una signora sulla sessantina addenta una brioche e sorseggia un cappuccino con un’amica. « Credo proprio che mia figlia sposterà Martina dalle elementari in cui va. Pensa che in classe sua ci sono otto bambini extracomunitari: come si fa a seguire il programma in queste condizioni? . L’amica fa un cenno di assenso. Chissà che non stia pensando a sua nipote.

Scene di ordinaria intolleranza? No, riflessioni sempre più frequenti, dettate da un timore concreto. Perché nelle scuole dell’obbligo di Milano (comunali e statali), su un totale di 113.619 alunni quest’anno sono iscritti 28.690 stranieri. Una buona metà di questi non sono nati in Italia, e arrivano che hanno già 8, 10, 2 anni. Senza ovviamente conoscere la lingua. I più numerosi sono gli ecuadoriani (3.468) e poi filippini, albanesi, peruviani , cinesi, marocchini rumeni. In tutto, più di 130 nazionalità. Una grande opportunità di costruire una società multietnico, certo. Ma è inutile nascondersi dietro un dito; una questione da affrontare. Le famiglie cominciano a chiedersi: «Siamo sicuri che questo non rallenterà l’apprendimento dei nostri figli?».
Il 2004, per Milano, è stato un anno boom: 15 per cento di studenti stranieri in più del 2003, quasi il doppio di tre anni fa. Il capoluogo lombardo è al primo posto in Italia, seguito da Roma, Torino e Brescia (dove è dì poche settimane fa la proposta di un preside di fissare una quota massima di stranieri per classe). Nessun problema, certo, se le risorse per favorire l’integrazione fossero in equilibrio con le necessità. Ma così non è, grazie alle ultime Finanziarie e alla recente riforma scolastica. Il problema esiste, e non solo nelle periferie, ma anche in pieno centro, nei quartieri feudo dei professionisti, dell’intellighenzia, della media borghesia. Sono sempre di più i genitori che pensano a un altro tipo di scuola. Più protetta più omogenea. Quella privata. «Mio figlio è in una classe di 21 ragazzini, e sette sono extracomunitarii. Mi spiace dirlo, ma sì: ho paura che la qualità della didattica possa risentirne. Stiamo pensando a una buona privata, qui vicino», confida Annalena Marelli, 44 anni, ingegnere, un figlio in prima media. E attenzione: la signora non gira per Milano con una camicia verde Padania. In piazza contro la riforma Moratti c’era anche lei, «in prima fila, con mio marito e mio figlio». Significa che il fenomeno è trasversale: a preoccuparsi non sono solo i pasdaran dell’intolleranza, ma genitori moderati e progressisti, sostenitori della società civile, difensori del welfare e del diritto all’integrazione.

Milano si sa, è spesso all’avanguardia delle tendenze sociali rispetto al Paese. Se questo fenomeno dilaga nella città tollerante per definizione quella dell’impegno solidale, del riformismo politico, la Milano dei Martinitt e della Società Umanitaria, c’è da preoccuparsi davvero. Siamo alla grande tentazione? Anno 2004, fuga dalla scuola pubblica? «11 timore è assolutamente fondato», conferma Marilena Adamo, responsabile scuola della segreteria lombarda Ds: «La questione stranieri esiste, ma il problema non sono certo i bambini extracomunitari. I guai vengono dai provvedimenti gestionali di questo governo, che stanno dando una mazzata alle politiche di integrazione».

Due numeri, tanto per capire: neI 2001, nelle scuole pubbliche milanesi, per una popolazione di studenti stranieri di 15 mila ragazzi c’erano 400 insegnanti facilitatori (i docenti di supporto per l’insegnamento della lingua italiana). Quest’anno, per più di 28 mila allievi extracomunitari, i facilitatori sono appena 40: uno ogni 715 ragazzi. Crediamo davvero che ognuno di loro riceva l’aiuto di cui ha bisogno per godere di tutte le opportunità di un bambino italiano? Difficile pensare che l’integrazione possa funzionare, con risorse così esigue. E l’ansia delle famiglie diventa più comprensibile. «Sì, negli ultimi due o tre anni le domande di iscrizione alla nostra scuola sono aumentate, dice Rosa di Pietro, preside della scuola Montessori di via Bartolini, borghese zona Sempione: «I genitori apprezzano la nostra proposta pedagogica, certo, ma ce ne sono anche di intimoriti per l’alto tasso di allievi extracomunitari. Guardi, è appena andata via una mamma che mi ha chiesto di trasferire da noi sua figlia nella classe elementare che frequenta c’erano sette stranieri, e lei aveva paura che sua figlia potesse lavorare a rilento. Scelte che sulla famiglia pesano anche economicamente: un anno di elementari alla Montessori costa 4.400 euro, mica uno scherzo. Stessa impressione al Leone XIII, storico indirizzo della Milano bene: «Le classi sono sempre al completo, non riusciamo ad accontentare tutte le richieste», racconta Callisto Rech, il preside: «Nella nostra scuola si viene per tradizione familiare, ma ci sono stati genitori che si rinvolgevano a noi perché preoccupati per la qualità dell’insegnamento pubblico in coincidenza con l’alto numero di stranieri in classe». L’alternativa, per chi nel pubblico ci crede davvero o la privata proprio non se la può permettere, è optare per la scuola pubblica di un’altra zona e anche questo è un fenomeno sempre più diffuso. Eva Caiazza, mamma di una bimba di sette anni, abita in Largo Marinai d’Italia, cinque fermate di tram da piazza del Duomo: «Abbiamo un’elementare proprio dietro l’angolo, ma non ci convinceva: troppi stranieri per classe. Come si fa a non restare indietro?». Così, la signora Caiazza tutte le mattine alle otto sale in macchina con sua figlia, e si fa un bel pezzo di strada verso un’altra elementare. In città, la media delle presenze di bambini extracomunitari nelle scuole è deI 6,4 per cento (con punte del 40 per cento in alcuni istituti), quasi il doppio della media nazionale. E le previsioni del ministero dell’Istruzione danno questa percentuale in aumento esponenziale per tutto il paese: più 60 per cento entro cinque anni. E davvero così difficile insegnare bene a tutti, in queste condizioni? «Si fa fatica. Nella mia classe ci sono bambini di sette nazionalità diverse, ammette Carmelina Frazzetto, maestra alle elementari Bacone (quelle che hanno inventato il pin “La scuola siamo noi” contro la riforma Moratti) e 36 anni di insegnamento alle spalle. «Per me, nonostante le difficoltà, la multiculturalità resta un’occasione unica di arricchimento. Ma la scuola non ci dà nulla: è tutto sulle spalle degli insegnanti, che devono inventarsi il modo di comunicare con le famiglie, di stimolare tutti, italiani e non, senza lasciare indietro nessuno. E’ molto, molto complicato». Una cosa va detta nonostante le difficoltà, nelle scuole pubbliche gli insegnanti se la cavano egregiamente. Per molti di loro la scuola è e resta il luogo di tutti. E sono in tanti a dichiarare che accanto a uno Xiao Li che a fatica alla fine della prima elementare ha imparato l‘alfabeto, ci sono tanti Mohammed Esteban e Chon Su che eccellono nello studio. Ma su una cosa la scuola pubblica milanese si trova d’accordo: per offrire una didattica di qualità in queste condizioni, bisogna fare i salti mortali. «Nella nostra scuola la percentuale di stranieri supera il 35 per cento. Aiuti? Solo due faciIitatori linguistici. A me certo non lo vengono a dire, ma so bene che molti genitori del quartiere preferiscono scegliere scuole più tranquille», spiega Angela Maria Olmi, preside dell’istituto Comprensivo Casa del Sole, quartiere multietnico di via Padova. «Come facciamo? Grazie ai genitori italiani che in questa scuola continuano a crederci: hanno formato un’associazione, e a turno tengono lezioni di lingua italiana ai bambini stranieri, due volte alla settimana dopo la scuola». Volontariato, ovvio. Il rischio è che in assenza di aiuto siano i bambini stranieri a fare da mediatori culturali con le famiglie, un ruolo che non spetta a loro. Creando una situazione che, come spiega Adamo, costituisce «una vera e propria bomba sociale per gli anni a venire, e in tutta Italia. Questo governo, a parole, si preoccupa tanto per il problema immigrazione. Ma quanto gli interessa concretamente inserire gli stranieri nella società italiana?». Forse meno che aiutare le scuole private, viene da pensare.

 

Piccoli privatisti crescono

Iscrizioni alle private in aumento dopo la legge de 2000, che ha creato un sistema unico di istruzione per espandere l’offerta formativa, e i decreti per finanziamento delle scuole paritarie del governo Berlusconi. L’ultima indagine del ministero è del 2002: dati mostrano che gli iscritti alle elementari e medie paritarie sono passati dai 263 mila deI 1998 ai 334 mila dei 2002. Al primo posto la Lombarda:

228 mila bambini nelle private, iI 18,53 per cento dell’intera popolazione scolastica. Seguono il Veneto (115 mila studenti, 18,25 per cento), l’Emilia Romagna (74 mila, 15,33) e i Piemonte (66 mila, 12,34). Ne Nord si concentra la stragrande maggioranza degli studenti privati: 528 mila contro 463 mila del Centro, Sud e sole. Sicuramente perché si tratta delle regioni più ricche del paese, e poi perché al Nord la scuola pubblica dell’infanzia (nidi e materne) non basta a soddisfare le richieste di milioni di mamme che lavorano. Ma queste, è inevitabile aggiungere, sono anche le aree a maggior tasso di studenti stranieri: tolta Milano e Roma, a primo e secondo posto della classifica nazionale, le province col maggior numero di immigrati sono Torino, Brescia, Vicenza e Treviso.

 

Alunni stranieri nella scuola italiana,
nell’anno scolastico 2003-2004
(in percentuale su totale dei non italiani)

............................................. ..ragazzi


Albania......................17,6%..... 49.965
Marocco.....................14,9%..... 42.126
Romania.....................9,7%.... . 27.627
Cina...........................5,5%.. ... 15.610
Ecuador......................3,8%.. ... 10.674

Fonte Miur 2004