A questa Finanziaria
si chiedeva un’inversione di rotta, tanto più decisa in quanto
il ministro designato a vararla non poteva chiamarsi fuori dalle
scelte che avevano portato al crollo delle entrate ordinarie (-1,5
per cento del Pil dal 2001 al 2003) con cittadini indotti a pagare
le tasse solo con i condoni. Occorreva, inoltre, convincere i
mercati che il Governo è capace di tagliare in modo permanente la
spesa, anziché aumentarla finanziandola con misure una tantum.
L’aggiustamento richiesto era stato quantificato dal
Dpef in
24 miliardi di euro, di cui almeno 17 legati a misure
permanenti.
C’è stata questa inversione
di rotta? Purtroppo solo a parole, non nella sostanza. È una
manovra lontana dai 24 miliardi e ne occorreranno altri da qui
alla fine dell’anno se vogliamo restare sotto il 3 per cento. E
incombe sulla Finanziaria il taglio delle tasse che annullerebbe
gli effetti degli interventi sulle entrate, che sono la parte più
convincente della manovra. Il presidente della Camera dovrebbe
chiedere che Finanziaria e riforma fiscale vengano discusse
contestualmente. Oppure che la riforma fiscale venga rinviata a un
altro esercizio.
Le belle parole…
Il linguaggio della
relazione d'accompagnamento
è di quelli accattivanti: l’inasprimento
fiscale è "manutenzione della base imponibile", i tagli di spesa
diventano "incrementi nominali e uniformi", le dismissioni degli
immobili pubblici "valorizzazione dell’attivo di bilancio". Ma
soprattutto c’è la "nuova regola di bilancio" che garantisce
"interventi equi, controllati e trasparenti", "concentrati sulla
spesa corrente", tali da permettere "l’incremento della spesa in
conto capitale o in altri programmi strategici". Un metodo nuovo,
"che capovolge l’impostazione tradizionale" ed è "in grado di
controllare i saldi su di un orizzonte di medio periodo". Tanti
diversi modi di presentare il metodo "all’inglese".
…e i fatti: sono i tagli
permanenti?
Il metodo, in realtà, non
è nuovo, se si considera che da almeno trent’anni lo segue la
Ragioneria nella circolare con cui a marzo dà direttive ai
ministeri per costruire il nuovo bilancio (per il bilancio 2005 la
direttiva di marzo 2004 era di mantenere gli stanziamenti allo
stesso livello nominale del 2004). Ma, quel che conta di
più, non è efficace, se non come misura tampone, d’emergenza.
Presenta rischi notevoli, se guardiamo all’esperienza del passato.
L’analisi delle voci del rendiconto del bilancio dello Stato
svolta dalla
Corte dei Conti
dimostra come i risparmi del decreto taglia-spese nel 2002 siano
stati più che compensati da maggiori spese nel 2003. I tagli
uniformi alla spesa per acquisti di beni e servizi nel decreto
legge dello scorso luglio si sono rivelati, per la parte relativa
alla Difesa, impossibili da realizzare. Lo stesso articolo 3 della
Finanziaria prevede che per rispettare i limiti si possa ricorrere
a "rimodulazioni negli esercizi successivi". Insomma, c’è da
essere scettici sul fatto che i tagli alle spese
rappresentino una correzione permanente delle tendenze della
finanza pubblica.
Sono concentrati sulla
spesa corrente?
In realtà, i tagli
colpiscono in buona misura direttamente il conto capitale
(circa 3 miliardi) e, soprattutto, anche quelli sulla spesa
corrente (6,5 miliardi), per la parte che va a impattare sui
trasferimenti dallo Stato ad altri
enti pubblici,
rischiano di tradursi unicamente in riduzioni degli investimenti.
Qui pesa anche la scelta di prendere come riferimento per
l’applicazione del tetto la spesa di un anno (2003) anziché almeno
la media degli ultimi tre anni. Perché è proprio la spesa in conto
capitale quella soggetta a maggiori variazioni nel corso del
tempo.
Sono equi?
Si potrebbe disquisire sul
principio secondo cui dei tagli uniformi devono essere considerati
equi. Quale principio di equità impone di trattare allo stesso
modo il personale e gli acquisti di computer, le Regioni e i
comuni, la scuola e la sanità, e così via? Ma in realtà gli
interventi non sono uniformi. C’è molta selettività, dietro
alla presunta uniformità. Quindi è una selettività poco
trasparente. Si risparmiano dai tagli le pensioni di anzianità
dopo aver nuovamente massacrato con gli interventi decisi a luglio
le generazioni che avevano già pagato con la riforma pensionistica
del 1995. Si lascia spazio (si parla di 750 milioni) ad
ammortizzatori molto generosi (prepensionamenti?) per i lavoratori
Alitalia in esubero, quando ogni anno centinaia di migliaia di
lavoratori vengono licenziati avendo diritto, nella migliore delle
ipotesi, ai miseri (e brevi) sussidi di disoccupazione. I tagli ai
comuni sono basati sul principio della spesa storica. Ciò
significa che quelli che hanno speso di più – come il comune di
Milano nel 2000 – potranno spendere di più mentre i comuni su cui
gravano maggiormente le spese di assistenza potranno trovarsi in
difficoltà. Sfuggono al tetto anche l’università (non riformata),
gli
incentivi per l’acquisto di pc
(la cui efficacia è molto dubbia), gli incentivi per l’acquisto di
decoder e quelli all’utilizzo della banda larga.
Si valorizza l’attivo
patrimoniale?
Nella manovra compaiono 7
miliardi di una tantum, derivanti da nuove dismissioni di
immobili. In buona parte dovrebbero provenire dall’applicazione
dello schema del "vendi e riaffitta" applicato alle sedi degli
uffici pubblici. Si tratta, in questo caso, dell’accensione di
nuovo debito: lo Stato incassa una somma oggi che si impegna a
ripagare con gli interessi mediante la futura spesa per affitti.
Al lettore valutare se tutto questo corrisponde a "valorizzazione
del patrimonio". Un’altra entrata (intorno ai 3 miliardi) dovrebbe
provenire dal trasferimento all’esterno della Pa, ma sempre in
mano pubblica, di una fetta consistente della rete stradale
statale (4.500 chilometri), attualmente a circolazione libera,
domani da sottoporre a pedaggio. In questo modo, la nuova Anas
diventerebbe una società che si finanzia sul mercato e potrebbe
essere posta fuori dalla Pa, con un beneficio per i conti
pubblici, pagato stavolta direttamente dai cittadini con i
pedaggi. L’operazione sarà ancora più vantaggiosa (per le casse
del Tesoro) nell’immediato se, come è adombrato, avverrà mediante
cartolarizzazione, da ripagare con i proventi dei futuri pedaggi.
Di privatizzazioni, dunque, non c’è traccia.