Tra striscioni, bandiere ombrelli e
palloncini il no del popolo della scuola.
Oltre centomila a Roma nel corteo unitario confederale:
«Per il contratto, per un piano di investimenti, per una scuola
pubblica di qualità».
Scuole vuote piazze strapiene.
Dagli asili nido alle superiori.
Adesione da record alla protesta contro
le riforme Moratti.
Oltre il 70 per cento, dicono i sindacati, con punte altissime in
molte regioni.
La pioggia non ferma il corteo, che paralizza la capitale per ore.
di Matteo
Bartocci da il
Manifesto del 16/11/2004
MATTEO BARTOCCI
ROMA
La consueta guerra delle cifre non nasconde la cruda realtà dello
sciopero generale della scuola di ieri: aule vuote in tutta Italia,
dagli asili nido alle superiori. Il risultato dell'adesione altissima
alla protesta nazionale lanciata da tutte le organizzazioni sindacali
tranne lo Snals: oltre il 70 per cento, dicono i sindacati (con punte
altissime in Marche, Umbria, Sicilia e Friuli). Macché, poco più del
36 per cento rispondono dal ministero (che però comunica solo i dati
di metà delle scuole italiane). Comunque vada è l'adesione più alta
mai registrata in una occasione simile. Forse anche perché è stato uno
sciopero preparato a lungo, che arriva dopo più di 4mila assemblee e 8
giornate di scioperi regionali. Un «adesso basta» talmente vasto da
far scendere in piazza a Roma e non solo oltre centomila persone:
insegnanti, ata, presidi, genitori e studenti. Centinaia di pullman e
treni speciali da Lombardia, Piemonte, Veneto, Basilicata e Sicilia
hanno portato nella capitale chi con la scuola targata Moratti è
costretto a fare i conti ogni giorno e da vicino. Due cortei hanno
paralizzato la città per tutta la mattinata: uno organizzato dai
sindacati di base (vedi a fianco) e uno di Cgil, Cisl e Uil.
«Per il contratto, per un piano di investimenti, per una scuola
pubblica di qualità» è lo striscione che apre il serpentone
confederale. Richieste precise: aumento dell'8 per cento degli
stipendi degli insegnanti (contratto scaduto da quasi un anno), il
nuovo contratto per i dirigenti scolastici (scaduto da 3 anni), la
tutela degli insegnanti di sostegno, un piano di investimenti
pluriennale, il rifiuto del «tutor» e la difesa di un sistema di
istruzione nazionale e non «devoluto» a 20 regioni.
Al corteo confederale, a tratti silenzioso ma determinato, composto
soprattutto da decine di migliaia di docenti infuriati contro la
ministra, molti leader politici e tutti i leader sindacali: Epifani
Pezzotta, Angeletti. La partita della conoscenza, del resto, è aperta
anche nel centrosinistra.
I sindacati festeggiano uno sciopero unitario pienamente riuscito,
ottimo preludio a quelli che verranno nei prossimi giorni in molti
comparti, via via fino a quello contro la finanziaria del 30 novembre.
L'autunno si annuncia caldo in ogni dove. Sullo sfondo riforme
indigeste, contratti risibili e una legge di bilancio ancora una volta
da lacrime e sangue. «I nostri contratti non sono un'opzione ma un
diritto - tuona il leader della Flc-Cgil Enrico Panini nel comizio a
piazza Navona - e questa finanziaria è una dichiarazione di guerra
alla scuola pubblica». Il ventilato taglio di 14mila unità infiamma
ancora di più, semmai ce ne fosse bisogno, la platea docente. «Sarebbe
un colpo mortale per la scuola, una proposta indecente» dice in
completa sintonia Savino Pezzotta della Cisl. «Il futuro da tagliare è
quello del governo non della scuola, che deve essere pubblica e
repubblicana» scandisce Luigi Angeletti della Uil nel comizio che ha
concluso la manifestazione. Un intervento che non a caso termina con
un «viva l'unità sindacale». Un risultato non certo scontato dopo le
recenti divisioni e la firma del «patto per l'Italia».
Il vero convitato di pietra era la ministra dell'istruzione, che
silente per tutto il giorno ha capito l'antifona ed è volata per tempo
in Giappone. «Il ministro deve far pesare di più il suo dicastero - la
consiglia visibilmente soddisfatto Guglielmo Epifani della Cgil - il
governo è chiuso in una torre d'avorio, sempre più diviso, non in
grado di rappresentare il cambiamento di cui c'è bisogno. Questa
piazza testimonia che la riforma non va bene».Nel corteo anche molti
coordinamenti dei genitori e le bandiere con il cigno verde di
Legambiente, perché «istruzione e cittadinanza - dice il responsabile
scuola Vittorio Cogliati Dezza - fanno la qualità della democrazia:
realizzare una scuola di qualità ha un valore strategico per il futuro
del paese».
Unico neo, a dire il vero, i pochi spunti creativi. Fischi sotto al
dipartimento della Funzione pubblica, un paio di funerali della scuola
con le bare in spalla. Nella sostanza una marea di bandiere colorate,
sorvegliate dall'alto dai palloncini rossi della Cgil. Nel corteo
degli insegnanti c'era ancora una volta «San Precario Martire». Sono
centinaia infatti i docenti che attendono da anni un'assunzione e un
futuro certo. Prospettive che la riforma Moratti e i tagli al bilancio
non avvicinano di un millimetro. Lontano dall'essere una protesta
corporativa, come qualcuno anche a sinistra vorrebbe, lo sciopero
della scuola indica che il re è nudo e che sul sapere e sulla
conoscenza si gioca la partita decisiva per le sorti del paese. E'
questa la vera rivendicazione, tutta «politica», che ha animato le
persone in piazza ieri.