All’inizio del secolo i «provvedimenti disciplinari»
avevano come obiettivo «il rafforzamento del senso di responsabilità».
Adesso si punta più sui diritti di studenti e docenti

Condotta e sospensioni, a scuola di disciplina

Gli insegnanti: il voto in comportamento ha perso valore, ora i ragazzi sono più arroganti. Mancano strumenti efficaci contro la maleducazione

 

di Giuseppe Tesorio da Il Corriere della Sera di Lunedì, 8 Novembre 2004

 

La «mala educazione», anche fuori orario. L’antidoto è la buona educazione, ma gli esperti non l’hanno inserita tra gli «obiettivi specifici per la convivenza civile». E come avrebbero potuto: la buona educazione è così vaga, leggera. «Il suo contrario, la cattiva educazione, si coglie subito, tutti i giorni, senza arrivare al reato». Lo sfogo di un docente si perde nel coro dei suoi colleghi: «La condotta è precipitata, questi ragazzi sono più ignoranti (ignorano sempre più cose) e più arroganti». Disciplina, richiami, note sul registro, punizioni: cosa fa la scuola per correggere la «mala educazione»? «Prima c’era il sette in condotta - ricorda un vicepreside - e questo bastava a scoraggiare. Poi sono arrivati i diritti e i doveri, e la condotta non ha voce in capitolo; allontaniamo i più turbolenti, con uno, tre, cinque giorni di sospensione, sempre con obbligo di frequenza». Va di moda il «lavoro sociale»: tu rompi una cosa, manchi di rispetto a qualcuno e rimani a scuola a fare lavoretti per la comunità.

«I provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità e al ripristino di rapporti corretti all’interno della comunità scolastica», così dice lo «Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria», che ha cancellato il regio decreto n. 653, del 4 maggio 1925. Lo aveva firmato Vittorio Emanuele III. Alla voce «Punizioni disciplinari» diceva: «Agli alunni che manchino ai doveri scolastici od offendano la disciplina, il decoro, la morale, anche fuori della scuola, sono inflitte...». Giù a elencare: «ammonizione privata o in classe, allontanamento dalla lezione, sospensione per un periodo non superiore ai cinque giorni, sospensione fino a quindici giorni; esclusione dalla promozione...». Ancora: «Per fatti che turbino il regolare andamento della scuola, sospensione fino a quindici giorni; per offese alla morale e per oltraggio all’istituto o al corpo insegnante, esclusione dallo scrutinio finale o espulsione da tutti gli istituti del Regno».

Settantatré anni dopo, con il dpr n. 249 del 24 giugno 1998, arriva il cambiamento con lo «Statuto delle studentesse e degli studenti». Abrogate le punizioni del regio decreto, fanno la loro entrata diritti e doveri. Li hanno gli studenti, li hanno gli insegnanti. Il regolamento elenca una decina di diritti: da quello «a una formazione qualificata che rispetti e valorizzi l’identità di ciascuno e sia aperta alla pluralità delle idee» alla «libertà di apprendimento». Poi si passa a sei doveri. «Gli studenti sono tenuti ad avere nei confronti del capo d’istituto, dei docenti, del personale tutto della scuola e dei loro compagni lo stesso rispetto, anche formale, che chiedono per se stessi». Si parla anche di sanzioni «in caso di gravi o reiterate infrazioni disciplinari, sospensioni per periodi non superiori ai quindici giorni». Fino alle estreme conseguenze: «Nei casi in cui la situazione obiettiva sconsigli il rientro nella comunità scolastica, allo studente è consentito di iscriversi, anche in corso d’anno, ad altra scuola» (art.4). È sempre il consiglio di classe a decidere, ma lo Statuto introduce una novità: il concetto di difesa. L’art. 5 prevede, infatti, il ricorso ad un «organo di garanzia» istituito e disciplinato dalle singole scuole. Un gruppo di lavoro di cui fanno parte due o tre prof, almeno uno studente, uno o due genitori, e che decide «anche sui conflitti che sorgano all’interno della scuola». In fondo la scuola non ha bisogno di uscire a cercare tribunali, educa e rieduca con le leggi e il buon senso che ha.