A SCUOLA

«La geografia cambia, bisogna studiarla».

di Guglielmo Scaramellini
(Direttore dell'Istituto di Geografia Umana dell'Università degli Studi di Milano)
da
Il Corriere della Sera del 21 Novembre 2004

 

Ogni giorno il mondo cambia: non soltanto i fenomeni naturali costruttivi (i depositi fluviali alimentano i delta o colmano i laghi, i ghiacciai si ritirano ma fino a ieri avanzavano, le foreste riconquistano le nostre montagne e colline) o catastrofici (la cui casistica è fin troppo nota e varia) cambiano le forme fisiche della Terra, ma anche i fatti umani di continuo mutano la conformazione politica del globo e i suoi assetti politici, sociali, culturali.

Ogni giorno i mezzi di comunicazione ne danno notizia; ogni giorno c'è motivo di dolersi per qualche fatto drammatico, talvolta di rallegrarsi per qualche conquista dell'umanità. Se gli adulti sono forse in grado di comprendere o di interpretare almeno parzialmente questi fatti, quanto lo possono fare i bambini e gli adolescenti, bombardati ogni giorno da informazioni e soprattutto da immagini di Paesi e di popoli, vicini o lontani, suggestive e stimolanti o terribili e scioccanti, come fossero un videogioco?

Chi insegna loro a decodificarle, ordinarle, valutarle, interpretarle: insomma a dare loro un senso, non soltanto per quel che sono in sé, ma anche per quel che significano per ogni singolo soggetto, che viene a conoscerli genericamente, spesso senza avere gli strumenti per affrontare i problemi, non di rado tanto più grandi di lui?

La geografia moderna ha assunto il compito di far comprendere allo scolaro, allo studente, al lettore che cos'è il mondo attuale nella sua globalità e nelle sue varie parti, nei rapporti che tra queste sono intrecciati, ma sempre mutano e si rinnovano, qual è il posto, piccolo ma per lui fondamentale, che ogni individuo occupa in questo mondo complesso e sempre mutevole.

La geografia, dunque, come mezzo per comprendere, oggi, e per costruire la propria piccola ma cruciale parte di mondo, domani. Purtroppo, però, la geografia non riesce a svolgere come potrebbe questo ruolo nell'istruzione (dalle scuole primarie all'università), perché sempre più è compressa nei programmi di studio, per responsabilità proprie e per l'azione di corporazioni disciplinari più forti: più ore di lezione a scuola significano più insegnanti, quindi più corsi e più posti in università, più fondi.

Insomma, più potere accademico e socio-culturale. I geografi non lo credono, e anzi, pensano che proprio questo sia il momento di rilanciare la disciplina non soltanto nell'istruzione scolastica e universitaria, ma anche nella vita sociale e culturale del Paese. Un concetto, questo, riaffermato con forza dall'Associazione dei Geografi Italiani al Congresso Geografico nazionale svoltosi in settembre a Mondello (Palermo). Sarebbe un vero peccato che questo messaggio, chiaro e motivato, non giungesse all'opinione pubblica e a chi governa i processi e i mutamenti in atto nel Paese.