EDITORIALE
Famiglie di classe
di Cosimo
Rossi da il
Manifesto del 16/11/2004
Povera signora Moratti. Dev'essere stato un
dolore per la ministra dell'istruzione scoprire tra gli epicentri
della protesta contro la sua riforma anche chi lei stesse aveva messo
al centro del sistema scolastico: le sacre famiglie. Invece ieri
c'erano proprio le famiglie a protestare contro la scuola di lady
Letizia insieme a docenti, sindacati, studenti (pochini). E in abiti
civili, quasi laici. Segno che evidentemente la vanga del governo
Berlusconi ha toccato il fondo: ha spalato talmente tante risorse (non
solo economiche) dal sistema educativo da accendere la paura di madri
e padri timorati degli dei e del denaro, oltre che le rivendicazioni
del corpo docente. Perché la paura al giorno d'oggi è probabilmente la
più materiale delle astrazioni politiche.
Paura di cosa? Di un futuro instabile, indefinito, insicuro per i
propri figli. Quei figli che il modello San Patrignano
dell'amministratrice delegata dell'istruzione doveva invece mettere al
riparo dalle vanità stupefacenti della fantasia e della creatività:
ancorandoli a valori e modelli arcaici, neo-tribali.
All'istituzione familiare la scuola berlusconiana prometteva di
riconoscere il supremo potere - pardon: «libertà» - di «scelta» del
futuro della propria schiatta. Secondo il famigerato modello delle tre
i: i come impresa, informatica, inglese. Lungo la più famelica
concezione dell'istruzione come profitto personale e scavalcamento
delle gerarchie sociali. Propugnando per questo anche la
normalizzazione delle libertà (incidentalmente costituzionali) del
corpo docente.
Ieri lo sciopero della scuola è stato generale proprio perché è stato
di tutti. Probabilmente perché la chimera della privatizzazione
dell'istruzione si è dimostrata altrettanto inefficace per tutti: per
i docenti ridotti a corpo inerte delle istituzioni, per le famiglie
colte nell'impraticabilità delle ambizioni riversati sui figli, per
gli studenti frastornati dall'incapacità di aspirazioni proprie e
indipendenti.
Tra le i berlusconiane non ci sono infatti gli investimenti. C'è
l'ideologia del profitto ma non ci sono l'italiano, l'intelligenza;
tantomeno l'invenzione. Niente, insomma, di tutto quello di cui si
ciba la comunicazione attiva dei ragazzini. Niente di ciò che fa
l'autonomia e la propulsività della classe insegnante. E nemmeno
qualcosa che rappresenti un investimento per l'economia domestica.
Perché anche nel chiuso delle mura casalinghe ci si è resi conti che
della propaganda berlusconiana sarebbe rimasta solo una gigantesca i
come ignoranza. E con quella, si sa, non si arriva da nessuna parte.
Non è dunque poca cosa che le famiglie ieri fossero in prima fila con
gli insegnanti. Perché rappresenta la più forte domanda di scuola
pubblica da molti, moltissi anni: domanda di investimenti, di soldi,
di libertà di insegnamento, di istruzione generalizzata intesa come
profitto generale, di possibilità concreta di coltivare aspirazioni
attraverso i figli.
Ecco, semmai sta qui il problema: ciascuno dovrebbe avere la libertà
di coltivare in proprio la propria vocazione, e la scuola dovrebbe
essere il luogo preposto. Essere invece arrivati al punto di vederla
rivendicare dalle famiglie, è una cura che può diventare peggiore del
male. Soprattutto se la formula che ha dato questa sonora delusione
alla signora Moratti dovesse essere fatta propria dai suoi oppositori
anziché sovvertita dallo stesso mondo della scuola. A cominciare dagli
studenti, che ne sono i titolari prima ancora che i beneficiari
ridotti in miseria da circa un quindicennio.