CARI PROFESSORI

di Gaspare Barbiellini Amidei da Il Corriere della Sera del 5 Novembre 2004

 

«Molti di noi - hanno scritto i professori - vorrebbero sospendere gli studenti in modo che completassero gli studi, almeno per quest’anno, in un’altra scuola». In senso lato il passaggio di mano a docenti di un altro istituto, in una sorta di domicilio forzato dei discoli, avrebbe il significato di una dimissione simbolica dal compito di far crescere i ragazzi: hanno un nome, un cognome, sono persone con colpe e responsabilità, ma con una potenzialità di recupero.

«Almeno per quest’anno»? E «al massimo», per quanti? Lasciamo perdere le interpretazioni dello Statuto degli studenti, che forse consente forse no una misura così dura, al di là dei canonici quindici giorni di sospensione. Stiamo alla sostanza pedagogica. La scuola non è una caserma né un distretto amministrativo, non si prevedono scarichi di indesiderabili, trasferimenti in aree magari meno prestigiose. La scuola si prende i suoi studenti e con tutti loro, non soltanto con la parte più malleabile, percorre la sua strada. E' un tragitto reso sempre più accidentato dal progressivo smantellamento dell’autorità e della responsabilità.

Questi ragazzi, anche quelli che hanno compiuto lo stupido disastro, sono figli dei nostri errori, delle nostre speranze, delle nostre sperimentazioni, abbiamo inventato insieme il sistema, non sempre coerente, nel quale noi e loro ci muoviamo. Ora non possiamo astenerci. Può darsi che quindici giorni di sospensione siano pochi, commisurati al gesto e al suo danno. Ci sono molti altri corretti modi integrativi per far sentire intera la gravità dei comportamenti tenuti. La severità è una faticosa costanza, non uno scatto di nervi. Ma l’idea dell’espulsione non è congrua. La scuola non è un club che mette alla porta i maleducati, è la fabbrica della educazione.

È vero - come si legge nella lettera - che «le conseguenze del vandalismo sono questa volta così pesanti per tutta la comunità scolastica da rendere fortemente problematico il ristabilimento di un clima di serenità». Problematico non vuole però dire impossibile. E’ un bell’esercizio di moderna e rigorosa pedagogia lavorare senza espulsioni e senza buonismi alla riconquista della serenità. «Chi rompe paga». Ma a scuola il proverbio si ferma qui. «I cocci sono tuoi» si può dire in un supermarket dopo un atto di teppismo, non dentro un'aula. Qui non ci sono cocci da sgomberare e trasferire, ma persone da educare. Con fatica, è vero, con sempre maggiore fatica. Come ben sa il professore che si sente stanco di chiacchiere e di svampiti perdoni, e coglie l'umiliazione di un mestiere intellettuale chiamato talvolta a gestire la prepotenza di incorreggibili somari.