Le «lingue locali» potranno essere inserite nei piani di medie e superiori. «Il romanesco nelle scuole». Fondi della Regione per incentivare lo studio dei dialetti laziali.
di Fabrizio Caccia da Il Corriere della Sera del 21 dicembre 2004
ROMA - Arriva a scuola l’ora di romanesco. Il consiglio regionale del Lazio ha approvato ieri pomeriggio all’unanimità - 35 voti a favore, zero contrari, zero astenuti - una proposta di legge di tutela e valorizzazione dei dialetti. Dall’anno prossimo, previo accordo con i provveditorati, le lingue locali - a partire proprio dal dialetto romano - potranno essere inserite nei piani di studio di medie e superiori. «Noi però non vogliamo imitare i leghisti - si affretta a spiegare il promotore della legge, Angelo Bonelli, capogruppo regionale dei Verdi - L’iniziativa non è stata presa per marcare delle differenze sociali o peggio ancora di razza. Noi non siamo separatisti. Il romanesco e gli altri dialetti verranno studiati sui vecchi testi, ma non insegnati, ovviamente, al posto dell’italiano. Quel che davvero ci preme è non perdere la memoria». Del resto, il romanesco lo parla anche il Papa: «Dàmose da fà, volèmose bene, semo romani...». Non lo disse mica Bombolo, Giggi er bullo oppure Califano. Parlò così Giovanni Paolo II, la mattina del 26 febbraio scorso, salutando in Vaticano i parroci romani. Usò il dialetto, il pontefice, spiazzando ancora una volta la gente di Curia e il popolo dei fedeli. «Il romanesco è un patrimonio culturale enorme, se fosse estinto sarebbe come cancellare il Colosseo», sentenziò un mese fa il sindaco Walter Veltroni al convegno Le lingue der monno, organizzato in Campidoglio dal Centro Studi «Giuseppe Gioacchino Belli». «Attraverso le pagine del Belli, di Trilussa e di Pascarella - commenta Tonino Tosto, vicepresidente dell’università popolare di Roma - i ragazzi impareranno la storia, la Repubblica romana e l’evoluzione del Papato». L’articolo 13 della nuova legge prevede testualmente che la Regione Lazio finanzierà lo studio dei dialetti non solo a scuola, ma anche nelle università popolari e della terza età, nei centri anziani, in tutte le comunità di emigrati laziali in Italia e all’estero. Saranno organizzati, inoltre, seminari e convegni; realizzate opere letterarie e teatrali; nascerà un vocabolario storico e socio-linguistico; e poi una biblioteca e un gigantesco archivio per raccogliere documenti sonori e videocinematografici. Un comitato scientifico, formato in prevalenza da saggi e docenti universitari, affiancherà l’Istituto per la Tutela e la promozione dei dialetti, incaricato di perseguire gli obiettivi stabiliti dalla legge. «Una lingua ti dice tante cose della sua gente - chiosa il professor Ugo Vignuzzi, 56 anni, docente di Dialettologia italiana all’università La Sapienza - La lingua è come la cucina». Da almeno 15 anni il professor Vignuzzi si batteva per la difesa del romanesco. Un anno e mezzo fa lanciò un appello, denunciando il rischio della scomparsa dei dialetti. Il suo sos, così, venne raccolto da Bonelli: «Il voto unanime del consiglio regionale - dice ora l’esponente dei Verdi - testimonia l’impegno di tutti, maggioranza e opposizione». «Ma il dialetto è una lingua in progress, una lingua viva che si evolve e non sappiamo dove arriverà - aggiunge Marcello Teodonio, vicepresidente del Centro Studi «Belli» - Il romanesco oggi si trova anche nei figli degli immigrati, che hanno un diverso colore della pelle ma parlano come tutti gli altri». Piuttosto - sottolinea il professore - è stato un certo tipo di televisione e di cinema a utilizzare il romanesco in modo improprio, imponendo negli anni il personaggio greve del «bullo», del «coatto». «Non è giusto però storcere il naso - ammonisce Antonello Venditti, il cantautore - Aborrire le parolacce in slang, il romanesco delle radio e della vita quotidiana. È lingua viva. Si tratta di un antico complesso: noi romani pensiamo a priori di essere volgari. Ma non è vero, il nostro dialetto è amato in tutta Italia». |