Codice aperto Un percorso di lettura sulla proprietà intellettuale. Dalle analisi di Martin Khor sulla biopirateria nel Sud del mondo alle proposte legislative di un volume sui «Diritti nell'era digitale I baroni rampanti della conoscenza. L'appropriazione privata della conoscenza come testimonia l'accordo di Google con alcune università e le forme di resistenza dentro e fuori la rete. E domani un incontro internazionale alla Iulm di Milano.
di Benedetto Vertecchi da il Manifesto del 15/12/2004
CODICE APERTO Una delle domande che il recente accordo tra Google e le università di Harvard, Michigan, Stanford, Oxford e la New York Public Library pone è se il servizio sarà gratuito o meno. Google, è cosa nota, è il motore di ricerca più usato su Internet, ma da quando l`impresa americana è quotata in borsa è diventato anche una società di servizi giornalistici e di accesso al World wide web. I termini resi noti del suo accordo parlano di una digitalizzazione dell`ingente «patrimonio» libraio di quelle università e biblioteche pubbliche e della sua messa in linea. Potenzialmente, chiunque accede alla rete può compiere ricerche e memorizzare sul proprio computer il libro cercato. E qui nasce il primo problema: alcuni libri sono coperti dal diritto d`autore, altri no. In linea di principio, la consultazione dei volumi sottoposti a copyright dovrebbe essere gratuita, mentre la loro memorizzazione no. Discorso diverso per quelli non più tutelati dal diritto d`autore: qui sia la consultazione che il downloading dovrebbero essere gratuiti.
Un mondo a parte
Ma tutte queste sono ipotesi, perché
dell`accordo ben poca cosa si conosce. E` certo però che quando una
società a cominciato a far pagare l`accesso a un contenuto informativo
è andata incontro a un fallimento. Internet è considerata da molti
naviganti del cyberspazio un «mondo a parte», dove la logica economica
della realtà fuori lo schermo non ha una grande legittimità. Certo, è
una visione ingenua, che non tiene conto delle strategie di molte
imprese che vogliono fare affari con la rete. Ma come ogni ingenuità
muove scelte, comportamenti collettivi che possono decretare il
successo o il fallimento di una strategia commerciale. D`altronde,
circa venti anni fa Alfred Hirschmann scrisse che una delle forme di
azione collettiva era rappresentata dalla defezione dal consumo. Si
smetteva di comprare una merce marchiata da una società e si orientava
l`acquisto verso i prodotti offerti da un`altra impresa. Nella breve
storia del web episodi di questo genere se ne sono verificati a
migliaia, con una particolarità: la defezione riguardava sempre
prodotti in vendita, preferendo siti e portali che ne offrivano
gratuitamente di simili.
Biopirati d'assalto Il volume è sì un appassionato j'accuse contro il Wto e le multinazionali della cosiddetta «rivoluzione verde», ma è anche un'utile ricostruzione storica del conflitto che oppose i paesi del Sud del mondo nei confronti degli Stati uniti e dell'Europa nella definizione dei trattati sulla proprietà intellettuale. Le conclusioni di Khor non lasciano spazio ad equivoci. Per l'attivista malaysiano è impossibile riformare i trips e il Wto: semmai vanno aboliti entrambi, per lasciare spazio a una regolamentazione sulla proprietà intellettuale che riconosca il carattere «comunitario», sociale della conoscenza scientifica. La ricerca sul gene umano e le tecniche di manipolazione genetica non si possono, ne devono essere fermate, ma i risultati devono rimanere comunque di pubblico dominio. Ma se la critica di Khor ha come oggetto polemico le norme sui brevetti, alcuni giuristi statunitensi applicano la loro conoscenza giuridica ad Internet, giungendo alle stesso conclusioni, anche se in nome non dei «diritti collettivi delle comunità», ma dello sviluppo economico. Con un titolo evocativo del problema, ma niente affatto invitante (I diritti nell'era digitale, Diabasis, pp. 130, € 13), Jack Balkin, Lawence Lessig, Mark Lemley, Pamela Samuelson e Randall Davis puntano a dimostrare che l'uso estensivo della proprietà intellettuale raggiunge lo scopo opposto a quello che si prefigge: non promuove lo sviluppo economico, ma lo imbrigli all'interno di una rete di grandi imprese transnazionali che cercano disperatamente di difendere il proprio margine competitivo attraverso la costituzione di monopoli della conoscenza. La proprietà intellettuale ha dunque il doppio effetto di permettere alla multinazionali di depredare il Sud e di bloccare lo sviluppo economico nel Nord del mondo. Di fronte a questo scenario, l'accordo di Google può apparire come una mossa volta a costruire un monopolio della conoscenza, trasformandola al tempo stesso un una merce. Più o meno come era accaduto quando Microsoft ha fatto incetta degli archivi fotografici in giro per il mondo. Di fronte a ciò, l'invito di Alfred Hirshmann a scegliere quale strada sia la migliore per contrastare questa appropriazione privata della conoscenza ha una inattualità. Tra defezione e protesta, conviene infatti scegliere entrambe. |