Italia, la scuola fa acqua Dobbiamo creare sapere.
di Gianni Riotta, da Il Corriere della Sera dell'8/12/2004
È straordinario come gli eventi del mondo, a prima vista così disparati e incongrui, si ordinino perfettamente in una morale riconoscibile quando li guardiamo con serenità. L’Ocse condanna l’Italia nella classifica mondiale delle scuole, siamo nella zona retrocessione, lontani dai leader Finlandia, Hong Kong e Olanda, dietro tutti i Paesi europei storici e staccati da Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Polonia, Ungheria. I nostri quindicenni arrivano al ventiseiesimo posto in matematica, ventiduesimi nelle scienze e sono opachi venticinquesimi nella lettura. C’è di peggio: come gli Stati Uniti spendiamo tanto per ogni studente e otteniamo risultati scadenti. Il rapporto Ocse conferma l’alluvione della nostra pubblica istruzione, ben più tragica dei vandali al Parini: la scuola italiana fa acqua. I rimedi sono semplici, secondo gli studiosi del «Consiglio di Lisbona» che analizzano i metodi dei Paesi felici in aula. Un sistema decentralizzato, con istituti dotati di autonomia su programmi e spese. Un corso di studi flessibile dove gli studenti possano decidere via via come procedere verso laurea e diploma, insegnanti con stipendi decenti, rispettati ed educati ad aggiornarsi sempre. Noi invece abbiamo tagliato i fondi per i 70.000 professori di inglese che avrebbero dovuto introdurre i ragazzi al latino del mondo globale. Il ministro Siniscalco lavora da anni con l’inglese, e sa che senza non si fa strada. Davvero non riesce a trovare la copertura necessaria? Domenico, do the right thing ! La conoscenza è il petrolio del futuro e noi, Paese della cultura, stiamo disperdendo i nostri giacimenti di sapere. Rileggete allora il viaggio parallelo del presidente Ciampi e del cancelliere tedesco Schröder in Cina. Perché Ciampi, saggiamente, invita ad aprirci a quel grande Paese e il presidente di Confindustria Montezemolo chiede di non fissarci a pensare alle magliette clonate, mentre il pianeta Pechino rientra nella storia? Perché la corsa alla crescita sarà vinta dai Paesi che offriranno migliori idee, progetti, merci. Ma i ragazzi relegati in scuole da asini non avranno mai l’orgoglio, le basi, le motivazioni per eccellere e creare. Tutto un gioco, leggete il mondo e la realtà si delinea nitida. Il presidente francese Chirac va in Cina e torna con oltre 3 miliardi di euro in contratti, subito dopo parte il suo ministro del Commercio Loos, preceduto dal ministro degli Esteri Barnier e seguito, dopo Capodanno, dal ministro della Cultura De Vabres. Vanno a proporre beni, politiche, idee francesi agli indiani e dovremmo farlo anche noi, senza il ritardo accumulato in Cina, malgrado gli appelli, inascoltati, dello studioso Francesco Sisci, oggi finalmente direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Pechino. A Hong Kong, intanto, si raccolgono i leader della moda, tra Cina e India c’è mezzo miliardo di nuovi clienti per i marchi raffinati. Al meeting anche gli italiani, Missoni, Armani, Della Valle, Pucci, Brioni. Adrienne Ma, manager della boutique Joyce, conclude: «Ieri era moda, oggi informazione». Anche il lusso vive di conoscenza, o sa interpretare culture e tradizioni locali senza vendere uniformi globali, o perderà identità. Questo è il bivio del nostro Paese, benessere, sviluppo, posto in Consiglio di sicurezza all’Onu, peso nell’Unione Europea e nel mondo, dipendono dal sapere che creiamo. Se falliremo conosciamo già l’esito, le periferie di Napoli dove la scuola si chiama violenza, manca il lavoro, la comunità è una cosca di camorra e l’unica matematica degli adolescenti il calcolo del pizzo e il calibro esatto di una pistola. È questo il futuro che sogniamo?
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