Caccia al Novecento.

di Nicola Tranfaglia da l'Unità del 9/12/2004

 

Da quando l’attuale ministro Letizia Moratti, capitata quasi per caso in un settore nel quale mancava, per comune riconoscimento, di competenze tecniche e politiche, ha intrapreso a realizzare il suo progetto di regressione economica e culturale tesa a dividere più nettamente l’istruzione superiore dalla formazione professionale (senza preoccuparsi di adeguarla ai nuovi tempi), di imporre ai più poveri sul piano economico o culturale di lasciare la prima per la seconda, di togliere alle scuole la possibilità del tempo pieno e della collaborazione tra gli insegnanti e così via, l’attacco alla storia contemporanea, soprattutto come storia del Novecento, è partita in grande stile.

La prima mossa ha riguardato, come era giusto, l’ambito della ricerca scientifica: nella seconda metà degli anni Novanta a livello ministeriale sono state confezionate numerose ricerche che riguardavano i problemi del secolo scorso ma dal 2001 ad oggi la politica ministeriale ha prima diminuito e poi cessato di promuovere e finanziare almeno parzialmente progetti che riguardino il Novecento.

Così abbiamo su questo piano, unico tra i Paesi dell’Occidente, un singolare paradosso: sul piano dell’attività didattica i corsi di storia contemporanea si sono moltiplicati in tutto il Paese e in tutte le università perché rispondono sia al bisogno delle nuove generazioni di capire da dove vengono e quali vicende hanno preceduto l’attuale crisi culturale e politica che stiamo vivendo sia all’allargarsi delle ricerche da parte di un numero rilevante di ricercatori che, nell’ultimo ventennio soprattutto, sono approdati a questi problemi ma, sul piano delle necessarie risorse economiche, i finanziamenti che languono per tutto l’ambito umanistico (che secondo il Ministro non può avere una diretta ricaduta aziendale e, dunque, non va finanziato) sono diventati del tutto inesistenti.

Ora a questa prima mossa ne segue una seconda, assai più insidiosa e riguarda le indicazioni programmatiche per la scuola, e in particolare per i licei, che dovranno essere precisati nelle prossime settimane per poter lavorare ai nuovi testi scolastici.
L’obbiettivo che si legge negli appunti ministeriali è semplice: dar poco spazio, il meno possibile, alla storia del Novecento nell’anno finale della scuola media inferiore come di quella superiore.

Occorre fare in modo che ci sia poco tempo per parlare di quel che è accaduto negli ultimi due secoli e forse è meglio - come del resto già si faceva negli anni Cinquanta - parlare soprattutto dell’Ottocento e fermarsi agli inizi del Novecento, al massimo intorno alla prima guerra mondiale.

Si tratta, intanto, di revocare l’iniziativa del centrosinistra e del ministro Berlinguer e di accontentare le lobby accademiche, gelose della fortuna didattica di questi studi (si ritorna, insomma, all’inizio degli anni Settanta quando in molte università non esisteva l’insegnamento della storia contemporanea e chi scrive incominciava allora a insegnare da solo nell’università torinese, con una grande massa di studenti desiderosi di studiare quel periodo). Quindi di ricondurre la storia a un mondo lontano, del tutto separato dal presente, che si occupa di problemi diversi da quelli attuali e non suscita grandi passioni.

Ma c’è da chiedersi: perché la nostra destra ha così paura del Novecento? Perché è il secolo dei fascismi e si è costretti di fronte ad essi a dire con chiarezza quale è il giudizio storico che si deve dare dei loro errori e dei loro delitti? O perché si tratta di materia ancora calda che può suscitare discussioni e prese di posizione categoriche da parte dei giovani?

Non è facile rispondere ma si tratta, a mio avviso, di un aspetto caratteristico proprio di una destra autoritaria piuttosto che democratica. Soltanto nei regimi autoritari si è tentato più volte nel Novecento di limitare la ricerca e la didattica che riguardano i problemi contemporanei. Ed è un sintomo preoccupante di debolezza politica e soprattutto culturale da parte di chi vuol presentarsi come una nuova classe dirigente.

Se c’è un secolo che pone problemi a tutte le forze politiche di ieri e non soltanto ad alcune, questo è il Novecento: studiarlo e analizzarlo consente di affrontare, secondo i metodi sempre più raffinati della ricerca storica, il tema fondamentale della modernità ancora tutt’altro che chiarito e, dunque, quanto e più dell’Ottocento merita di essere indagato, discusso, approfondito e insegnato. Ma potremo farlo ancora? A leggere i bollettini del Miur e le indicazioni morattiane c’è purtroppo da dubitarne.