Colpa delle troppe tastiere. Le aziende chiedono testi «a mano» come prova.

Solo computer, addio penne

Non sappiamo più scrivere.

Grafia sempre più confusa. «I temi sono illeggibili».

di Federica Cavadini da Il Corriere della Sera del 31/8/2004

 

«Deve scrivere in maniera leggibile». Esame annullato. Concorso perso. Tutto da rifare, anzi, da riscrivere. Poiché è noto, le parole sono importanti ma non basta, vanno anche presentate in modo chiaro, con garbo, soprattutto se il nostro interlocutore è una commissione d’esame o un direttore del personale. Una grafia comprensibile resta requisito essenziale, anche se la generazione dei computer e delle tastiere non era stata avvertita, così accade che molti lo scoprano quando ormai è tardi e magari si giocano un esame all’università e persino un posto di lavoro per quelle righe troppo piegate sul foglio o quelle ti e quelle elle unite da una linea superflua. Cesare Scurati, pedagogista, cattedra di Didattica generale alla Cattolica di Milano appartiene a quella generazione di docenti che si aspetta di non dover leggere e rileggere e poi azzardare una traduzione confrontando consonanti e vocali per decifrare il lavoro dei suoi studenti: «Se l’elaborato non è chiaro lo cestino, per ovvie ragioni di tempo e non soltanto: i ragazzi devono capire che il modo in cui scrivono è importante perché fa parte del loro corredo civile ma c’è anche un’utilità pratica, sia all’università, sia nel mondo del lavoro. Purtroppo oggi sta diventando un problema: i giovani scrivono a mano poco e male, soprattutto i maschi, le ragazze tendono ad avere spontaneamente un maggior controllo della forma, se non cadono negli eccessi di calligrafie iperpersonalizzate che sfiancano chi legge». Paradossalmente chi è cresciuto studiando davanti al monitor, prendendo appunti sul palmare, ripiegando sul telefono per inviti e ringraziamenti e corteggiando con i poveri slogan degli sms si ritrova ostaggio di carta e penna: se scrive in un certo modo avrà il posto di lavoro o la promozione, altrimenti arrivederci e grazie. L’ultima parola su di noi spetta ai grafologi, preziosi consulenti di multinazionali, banche, assicurazioni. «Si chiama selezione calligrafica ed è uno strumento sempre più diffuso nel mondo del lavoro, anche in Italia, soprattutto al Nord - spiega Elena Manetti già presidente dell’associazione grafologi professionisti - Si tratta di un test proiettivo, di personalità, grazie al quale possiamo tracciare un profilo del candidato fornendo informazioni sulle sue attitudini, sulla sua capacità di resistenza allo stress o di assumersi responsabilità. Le aziende ci consultano dopo una prima selezione dei candidati, ci presentano gli elaborati di cinque o sei persone e noi stendiamo la nostra relazione».

Quindi dietrofront, ripassare dal via, cioè dalla cartoleria, dotarsi degli strumenti necessari, dalla stilografica in su e via con l’allenamento. Chi può permetterselo prenderà la scorciatoia del maestro privato, o «rieducatore»: 25 euro a lezione (durano meno di mezz’ora, servono carta, penna e un metronomo) e in un paio di mesi se l’impegno è quotidiano torneremo a scrivere come sognava la nostra maestra delle elementari. «A formare i "rieducatori" sono le associazioni dei grafologi come la nostra, presenti nelle principali città - dice Elena Manetti - Ci chiedono i loro nominativi soprattutto genitori di studenti delle medie indirizzati dalla scuola, ma ultimamente abbiamo anche clienti adulti che semplicemente vogliono ritrovare il piacere di scrivere a mano con una bella grafia, purtroppo ormai dilaga lo "stile" puerile e lo stampatello».

Secondo gli esperti scriviamo da bambini, probabilmente perché è allora che abbiamo (quasi) smesso di scrivere e forse è da lì che si potrebbe ripartire, dalla scuola. «La calligrafia come insegnamento è ormai un ricordo del passato ma è il caso di fare un passo indietro, a bambini ed adolescenti va trasmessa l’importanza di una scrittura chiara», sostiene Cesare Scurati. I grafologi-rieducatori, che hanno fra i loro allievi anche molti maestri e insegnanti, puntano sul metodo: «E’ un problema di tecnica di apprendimento e insegnamento della scrittura, i maestri oggi non vengono formati su questa materia». Non soltanto, anche chi sta in cattedra ormai scrive poco, persino le pagelle spesso vengono compilate al computer, grazie a specifici software per docenti pigri o indaffarati.

Poi c’è la questione dello stile: qual è quello italiano? Gli inglesi, come i tedeschi e gli americani, hanno un modello facilmente riconoscibile. Noi no. «Per favorire la capacità di espressione abbiamo scelto di porre meno vincoli - spiega Scurati -. Abbiamo lottato contro la cultura di standard, adesso però bisogna trovare un equilibrio, serve una "ripulitura" perché scrivere significa soprattutto comunicare».